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Tornare a scuola

2/24/2011 | Andrea Giacobino

Il numero di clienti per consulente finanziario (ex-promotore finanziario) a fine 2009 ha superato le 160 unità rispetto alle 145 del 2004, anche se il numero totale di pf aderenti ad Assoreti si è contratto rispetto all’anno precedente. Ecco perché...


 

Il numero di clienti per consulente finanziario (ex-promotore finanziario) a fine 2009 ha superato le 160 unità rispetto alle 145 del 2004, anche se il numero totale di pf aderenti ad Assoreti si è contratto a fine 2009 rispetto all’anno precedente. Infatti un importante fenomeno di riorganizzazione e maggiore efficienza sta coinvolgendo le reti di consulenti finanziari (ex-promotori finanziari) già da qualche anno, con un’accelerazione impressa nell’ultimo periodo. 
Ancora una volta i numeri parlano chiaro: da fine 2008 a giugno del 2010, infatti, gli iscritti all’albo che hanno ricevuto il cosiddetto monomandato da una società si sono ridotti di 4.600 unità, evidenziando quindi una diminuzione dell’11,5%. In uno scenario di progressiva riduzione delle figure professionali, perciò, la crescita del peso delle reti di consulenti (ex-promotori) sul totale delle attività finanziarie delle famiglie italiane (oggi si situa attorno al 7% circa, rispetto al 75% del canale bancario e al 15% di quello postale) è quindi avvenuto attraverso un miglioramento sul fronte della produttività, frutto anche dell’uscita dal comparto degli operatori con i portafogli più esigui.
 
Tutto bene, quindi? I consulenti finanziari (ex-promotori finanziari) possono affidarsi alla “mano invisibile del mercato” per dormire sonni sereni sul fronte della tenuta della loro clientela, certi che la selezione darwiniana della loro specie renderà comunque più efficiente la categoria mettendola al riparo dalla concorrenza degli altri canali distributivi? Non esattamente. 
In base a stime elaborare recentemente da Prometeia la “torta” del risparmio gestito valeva circa 900 miliardi di euro a fine 2009, pari al 61% del Pil contro il 72% di fine 2007. Le masse gestite hanno recuperato solo parzialmente la flessione del 2008, momento di crisi sui mercati finanziari. E se si guarda alla composizione per prodotto si vede che il mercato oggi è molto diverso da 5-6 anni fa: i fondi comuni hanno perso circa 10 punti percentuali di quota a favore dei prodotti assicurativi e previdenziali. Basti pensare che le gestioni di tali prodotti (e quelle relative alla clientela istituzionale) è passata dal 28% al 42,5% del mercato complessivo del risparmio gestito. In altre parole i prodotti di risparmio gestito entrano nei portafogli delle famiglie italiane sempre più “mediati” da prodotti assicurativi e pensionistici.
Ed è su questa delicata evoluzione del mercato che i consulenti finanziari (ex-promotori finanziari), i private banker e i consulenti indipendenti non possono far conto solo sulla ritrovata maggiore efficienza della loro categoria per vincere la partita. Serve infatti molto, molto di più. 
La direttiva Mifid costringe tutti a passare dalla logica del “prodotto” a quella del “servizio” in cui l’intermediario, per innalzare la qualità del servizio offerto, è chiamato a svolgere la funzione di “selezionatore” delle migliori offerte presenti sul mercato e non  di mero “collocatore” di prodotti. 
Si dirà che questo è quello cui aspirano tutti i consulenti (ex-promotori) e loro simili, ma una cosa è dire e l’altra è fare. Le reti di consulenti (ex-promotori), rispetto ad altri canali distributivi, hanno rivisto più rapidamente la segmentazione della clientela in base all’eurodirettiva, integrando la conoscenza del cliente in termini di profili di rischio e hanno per la loro propria natura sviluppato processi più continuativi di vicinanza al cliente nelle diversi fasi di mercato.
Ma anche tutto questo non basta. La costruzione, da parte del consulente (ex-promotore), di un vero servizio consulenziale che tenga conto di tutte le esigenze della clientela, abbracciando anche le tematiche del ciclo di vita e i bisogni previdenziali, può partire solo da un processo di aggiornamento e formazione continui, che elevi contestualmente la “qualità” della professione. Le società mandanti certamente forniscono ai loro consulenti (ex-promotori) materiale didattico a iosa, ma spesso questa documentazione, di per sé necessaria, risulta però troppo sbilanciata sul lato della vendita. E, sopratutto, non contribuisce a quel processo di “formazione continua” che esige invece da parte dell’advisor la lettura attenta di giornali finanziari, la consultazione quotidiana di piattaforme e siti dedicati e - perché no? - il confronto continuo e costruttivo con i colleghi propri e anche di reti concorrenti.
 
Spesso gli operatori della consulenza finanziaria si lamentano che gli italiani, quando devono scegliere una nuova automobile, dedicano un tempo che è dieci volte maggiore di quello che impiegano a selezionare una prodotto di risparmio gestito. Per acquistare un prodotto voluttuario, insomma, la componente di “education” che il consumatore applica è di gran lunga superiore rispetto a quella utilizzata per decidere le sorti del futuro economico proprio e della famiglia. Ma non basta guardare solo da una parte. C’è bisogno che consulenti finanziari (ex-promotori finanziari), private banker e consulenti non dimentichino che la loro formazione, ancor prima e di più di quella del cliente, non è mai finita perché fa parte integrante della professione e del successo di questa. 
Una gloriosa trasmissione degli Anni Sessanta, cui si deve una buona parte dell’avvenuta scolarizzazione del Paese, si intitolava “Non è mai troppo tardi”. È sempre tempo di tornare sui banchi di scuola.

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