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Stress Fed sul mercato azionario americano

9/18/2014 | Redazione Advisor

Il primo aumento dei tassi di interesse segnerà l’inizio di un ciclo di irrigidimento come nel 2004? E con quale velocità?


Dopo che la Fed annunciò che avrebbe ridotto i suoi acquisti di asset (tapering), i mercati azionari persero, nel mese di giugno 2013, il 4,8% e i rendimenti dei titoli del Tesoro a 10 anni aumentarono di 30 punti base nel giro di un paio di giorni. Secondo Yves Longchamp (nella foto), Head of Macroeconomic Research di Ethenea Independent Investors, è questo un esempio esplicito di quanto sia centrale il ruolo della Fed in un ambiente fragile. E, soprattutto, è questo un precedente che spinge a prevedere che "visto che la banca centrale Usa interromperà il suo programma di quantitative easing in ottobre, la fase successiva sarà con tutta probabilità rappresentata dal primo aumento dei tassi di interesse, forse a metà estate 2015" spiega l'esperto. 

 

"Gli investitori sono nervosi in merito al potenziale impatto del primo aumento dei tassi di interesse sui mercati azionari, ponendosi numerosi interrogativi: segnerà l’inizio di un ciclo di irrigidimento come nel 2004, e se così fosse, con quale velocità? Quanto è solida l’economia americana? Ci sarà un ritorno dell’inflazione? Domande alle quali non è affatto semplice rispondere, anche perché è difficile immaginare che i margini di profitto possano continuare a crescere alla stessa velocità degli ultimi decenni" chiarisce Longchamp secondo il quale il margine di profitto, cioè la quota di utili netti delle corporation americane rispetto al reddito nazionale, "rappresenta attualmente il 12,8%, la percentuale più alta mai raggiunta in 70 anni. Mentre il livello delle imposte aziendali negli Stati Uniti è alto rispetto agli standard OCSE, ma l’elevato livello di indebitamento del Governo non permette di ridurle". 

 

I tassi di interesse sono virtualmente a zero ed il loro impatto positivo sugli utili svanirebbe anche se non subissero cambiamenti. Solo una persistente stagnazione del mercato del lavoro permetterebbe, in maniera perversa, di continuare a sostenere il margine di profitto. "Basta immaginare che il reddito nazionale e l’utile netto continuino ad aumentare nei prossimi anni come è successo dal 2000 (anche nel corso della crisi finanziaria), cioè ad un tasso annualizzato del 3,9% per il reddito nazionale e del 9,4% per i profitti: in un tale scenario, il margine di profitto raggiungerebbe uno stellare 21,5% nel 2025" spiega Longchamp che conclude: “Una crescita bassa, bassi tassi di interesse, bassa volatilità, bassa inflazione e alti utili testimoniano di un mercato fragile e dissonante, in cui la valutazione delle azioni sembra molto tirata, visto che gli utili non sembrano poter aumentare nei prossimi anni alla stessa velocità degli ultimi decenni. Soprattutto se la Fed farà quello che il mercato ritiene che possa fare e cioè procedere a un aumento dei tassi il prossimo anno”.

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