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Trump e gli stimoli fiscali: il rally corre sul filo del rasoio

3/1/2017

Il neopresidente inizierà a intraprendere la riforma fiscale entro i prossimi 100 giorni del suo mandato? Ecco quale sarà l'impatto sui mercati secondo i gestori


Trump inizierà a intraprendere la riforma fiscale entro i prossimi 100 giorni del suo mandato? La proposta è di ridurre le imposte societarie dal 35% al 20%, rendendole più competitive ed eliminando virtualmente la fuga delle imprese statunitensi verso Paesi con tassazione più favorevole. Oggi gli Stati Uniti hanno le aliquote fiscali più elevate in assoluto tra le grandi economie; per questa ragione, molte aziende hanno sinora accumulato liquidità Oltreoceano, limitando di fatto la redistribuzione dei flussi di proventi agli investitori.

Le riforme fiscali, a detta degli esperti, dovrebbero anche aumentare gli utili delle aziende USA e stimolare l’economia e la crescita del Pil. Il processo per attuarle, tuttavia, potrebbe essere complesso e i dettagli potrebbero cambiare rapidamente. Stando a un recente sondaggio, circa 9 economisti su 10 si aspettano una crescita del Pil reale USA compresa tra l’1% e il 3% nei prossimi 3 anni. Alcuni gestori sembrano condividere tale sicurezza. "Crediamo che Trump inizierà a intraprendere la riforma fiscale entro i prossimi 100 giorni del suo mandato. L’impatto potrebbe essere radicale per le società USA e, diversamente da quanto accaduto con le amministrazioni che avevano tentato in precedenza di intraprendere una strada simile, Trump e il Congresso Repubblicano sostengono ampiamente tale riforma" dice John Bailer, gestore di The Boston Company Asset Management (BNY Mellon), secondo cui la riforma delle tasse societarie potrebbe aumentare del 7% gli utili per azione dell’S&P 500 entro il 2018, arrivando a determinare un P/E di 15x, un rapporto particolarmente attraente a questi livelli di tassi di interesse.

Non mancano però i dubbi sul successo della Trumponomics."Il pricing dei mercati finanziari non riflette in alcun modo i dubbi sull’attuazione delle future politiche dell’amministrazione Trump, né offre un premio tale da compensare il rischio ad essa collegato. Gli indici azionari hanno raggiunto nuovi picchi. La volatilità implicita sull’S&P 500 e sui future sui tassi d’interesse è diminuita ancora e le coperture sugli indici azionari sono a buon mercato” spiega Vincent Reinhart, capo economista di Standish, secondo cui le aspettative sovradimensionate degli operatori di mercato in merito a ciò che la nuova amministrazione può offrire, sia in termini di portata sia di tempismo, saranno probabilmente deluse.

Per Cormac Weldon di Artemis IM, il taglio alle tasse per le imprese è irrealistico (una riduzione del 15%), visto che il partito Repubblicano tende a essere fiscalmente conservativo e difficilmente abbandoneranno il loro credo. Un altro rischio per Weldon è la possibile delusione dei mercati di fronte a un programma di investimenti sulle infrastrutture decisamente più ridotto rispetto a quanto previsto da Trump (1 trilione di dollari per autostrade, aeroporti e pipeline) e dal protezionismo di Trump, una cattiva notizia per le società che hanno una catena di fornitori esteri, come i retailers. 

Il rally attuale delle Borse americane poggia infatti proprio sulla politica reflazionistica annunciata dalla nuova amministrazione americana, con il presidente tycoon che promette sgravi fiscali per far ripartire la domanda interna e stimolare la crescita. "La durata di questa fase dipenderà da come i mercati obbligazionari reagiranno a questa mancata protezione da parte della Fed. Il mercato del reddito fisso potrebbe anticipare tassi più alti sul lungo termine. Le redini, insomma, ce le hanno in mano i gestori obbligazionari" avverte Maurizio Novelli, gestore Global strategy fund di Lemanik.

C'è poi un'altra variabile da tenere in considerazione: uno stock di debito molto alto che ha retto finora perché le banche centrali ne hanno abbassato il costo. "Ma il costo adesso salirà. E stimiamo che ogni punto di rialzo del costo del debito eserciti una restrizione del Pil mondiale pari a 3,5 punti percentuali. Si tratta di una bolla, ma è difficile dire se e quando è destinata a scoppiare, perché in questi casi lo si realizza sempre troppo tardi. Per esempio nel 1987 la discesa dei mercati obbligazionari era in corso da 6 mesi, poi la Borsa crollò in una serata del 22%. Questa volta per inciso potrebbe essere anche peggio, perché non ci sono più i market makers, le nuove regolamentazioni hanno distrutto la liquidità e quindi anche la protezione da eventuali incidenti, come visto in più occasioni con i recenti flash crash" aggiunge Novelli. 

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