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Gestore della settimana: Cambia la classifica dell'equity emergente

11/20/2017 | Gloria Grigolon

Sam Finkelstein, Managing Director e responsabile della divisione Global Fixed Income and Currency di Goldman Sachs Asset Management, indica quali sono le "nuove" economie da tenere in considerazione nella scelta di portafoglio.


Argentina, Egitto ed India nella classifica degli Emergenti più interessanti, senza tralasciare i cambiamenti strutturali del mercato cinese. “Con valutazioni dell’equity mediamente a sconto del 35% rispetto al resto del mercato, le economie a maggior sviluppo si sono mostrate meno vulnerabili alle azioni della Federal Reserve”, approfittando di rimando di una dinamica del dollaro negativa. Ad affermarlo ad AdvisorOnline.it è Sam Finkelstein, Managing Director e responsabile della divisione Global Fixed Income and Currency di Goldman Sachs Asset Management.

 

Quali Mercati Emergenti compongono la sua personale classifica?

Anzitutto l’Argentina. La conferma di Macri alle elezioni di medio periodo ha aperto la strada ad una nuova fase di riforme, che completa quelle già avviate nell’ultimo biennio. Tra queste, l’eliminazione dei sussidi sulle bollette elettriche, che ha contribuito ad elevare l’inflazione al 24% (dato a settembre 2017), e la liberalizzazione del cambio col dollaro americano, che ha portato la valuta argentina nei primi nove mesi del 2017 ad un rialzo del 18%. Sul fronte finanziario, le attività bancarie pesano oggi il 14% del PIL e presentano buoni margini di crescita.

Al secondo posto, l’Egitto che, dietro le disposizioni del Fondo Monetario Internazionale, ha assecondato un piano di deprezzamento della lira egiziana, introduzione dell’Iva e ristrutturazione del settore petrolifero.

Da terzo, l’India. Nel 2017 il Paese ha registrato i primi effetti legati alla demonetizzazione, che ha pesato soprattutto sul ceto basso; la lotta all’economia sommersa e la ristrutturazione del sistema bancario pubblico (con una ricapitalizzazione del settore pari a 33 miliardi di dollari in tutto) hanno ora l’obiettivo di promuovere la crescita e l’occupazione.

 

Quali altri nomi si aggiungono al quadro?

La Repubblica Ceca vanta oggi buoni margini di crescita; un irrigidimento della politica centrale, tuttavia, potrebbe diminuire l’appealing della componente obbligazionaria. Migliore è invece la view sull’azionario, dove anche Europa dell’est in generale e Messico presentano valutazioni interessanti. Resta alta l’attenzione sull’Arabia Saudita, per le dinamiche geopolitiche e di squilibrio interno, ma anche per l’andamento del prezzo del petrolio e le decisioni sull’IPO di Saudi Aramco, la più grossa della storia.

 

Quali dinamiche si aspetta sul dollaro statunitense?

Dopo il deprezzamento registrato a partire dal 2017, il dollaro si è assestato su valori ad ora né troppo deboli, né troppo forti. La scelta di Jerome Powell come successore alla Federal Reserve (candidato più colomba rispetto al falco accademico, John Taylor), dovrebbe tendere a mantenere lo status quo. È però bene ricordare che, negli Stati Uniti come nei Paesi Emergenti, vale sempre la regola “i capitali vanno dove va la crescita”: la Fed dovrà modellare su questo principio la propria politica di rialzo, cui si accompagna l’incognita della riforma fiscale e l’effetto ch’essa avrà su redditività d’impresa e fiducia di mercato.

 

Quanto peserà l’azione della Fed sui ME?

Nonostante il triplice rialzo dei tassi d’interesse avvenuto nell’ultimo anno, le Economie Emergenti non hanno mostrato segni di instabilità, dando un chiaro segnale di rafforzamento dei fondamentali. Il rischio di un nuovo Taper Tantrum (i.e. forti vendite di titoli senza limiti di prezzo e quantità scaturenti da reazioni di panico) legato all’annuncio di un irrigidimento delle politiche monetarie centrali, tuttavia, non è ancora del tutto scongiurato.

 

Infine: da un lato gli USA, dall’altro la Cina. Cosa sta accadendo al Dragone?

Il 19° Congresso del Partito comunista cinese ha confermato la leadership di Xi Jinping. Il processo di riforme avviate sta avendo come diretta conseguenza il passaggio da un’economia di produzione low-cost ad un sistema di consumi di qualità. Lotta alla corruzione e controllo stringente sui crediti non-agency (non garantiti dal governo) sono andati di pari passo con un mercato sempre più orientato all’investimento estero ed aperto a ricevere internamente capitali, anche sul fronte dell’equity. Per tali ragioni, lo sviluppo finanziario cinese proseguirà, seppur a ritmi più lenti, e tenderà nel tempo ad apprezzare il renminbi. Un processo che, come ogni cosa in Cina, avverrà in maniera lenta e graduale.

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