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Passaporto europeo: un guaio ora per banche e fondi UK

6/24/2016

Molte divisioni business potrebbero trasferirsi in Irlanda o in altri paesi Ue. JP Morgan potrebbe spostare 4.000 dipendenti dalla City nel Continente. Conseguenze anche per le banche estere in Italia


L'uscita del Regno Unito è un gioco che sposta il baricentro verso l'Europa continentale dell'UE. Francia e Germania, in particolare, avranno bisogno di rafforzare la loro cooperazione. Sopratutto dal punto di vista finanziario. Il cambiamento di regole associato alla Brexit limiterebbe la capacità del sistema finanziario inglese di avere accesso alle strutture finanziarie dell’area euro. La City potrebbe quindi perdere buona parte delle proprie attività di trading denominate in euro e Londra è probabile che perda lo status di capitale finanziaria europea.

I negoziati sui servizi finanziari tra la Gran Bretagna e Bruxelles promettono di essere lunghi e difficili, in quanto sono strategici sia per il Regno Unito che per l'Ue, spiega in una nota Amundi, uno dei più grandi asset manager del Vecchio Continente controllato dal gruppo Crédit Agricole. Il Regno Unito, infatti, è il centro finanziario leader a livello di Unione Europea: incide per quasi il 25% dei servizi finanziari dell'Ue e per il 40% delle sue esportazioni di servizi finanziari. I servizi finanziari rappresentano l'8% del Pil del paese.

Anche se nessun mercato finanziario è in grado di sostituire Londra, la perdita di un "passaporto europeo" per le banche e i fondi del Regno Unito rischia di portare al trasferimento di alcuni segmenti di business verso l'Irlanda o alcuni mercati Ue. “Il surplus commerciale derivante dai servizi britannici (5% del Pil) potrebbe quindi venire meno nel futuro, rendendo il finanziamento del deficit esterno, che è al suo massimo storico in media -5% del Pil nel corso degli ultimi due anni, complicato” commenta Didier Borowski, head of macroeconomics di Amundi.

Intanto, la più grande banca americana, JP Morgan, che nel Regno Unito impiega 16.000 persone, annuncia lo spostamento dei posti di lavoro fuori dal Regno Unito dopo l'esito del referendum britannico. L'avvertimento è contenuto in una mail interna consultata dalla France Presse. "Potremmo avere bisogno di apportare dei cambiamenti alla struttura del nostro soggetto giuridico europeo e alla localizzazione di alcuni posti di lavoro" scrive la banca. L'amministratore delegato Jamie Dimon aveva detto, prima del referendum, che potevano essere spostati tra i 1.000 e i 4.000 posti di lavoro.

L'uscita del Regno Unito dall'Europa avrà inoltre conseguenze pratiche anche per diverse istituzioni finanziarie estere presenti in Italia. "Le filiali italiane di banche estere che fino a oggi erano considerate europee grazie al passaporto Ue, quindi non solo quelle inglesi ma anche quelle extraeuropee che utilizzavano Londra come base per operare in Europa, da domani saranno considerate extraeuropee e, come tali, non usufruiranno delle facilitazioni delle banche comunitarie che riguardano la libertà di apertura di sportelli e la dotazione patrimoniale, cioè il fondo di dotazione" scrive in una nota Guido Rosa, presidente AIBE.

La normativa europea di Vigilanza consente infatti alle sole banche europee di poter finanziare le proprie necessità di capitale grazie a un finanziamento dalla casa madre senza ricorrere a capitali propri. "Questo fatto tutt'altro che irrilevante, che comporta alti costi, complicazioni procedurali e tempi lunghi, potrebbe convincere alcune banche extra Ue a trasferire le proprie sedi europee in altre piazze finanziarie all'interno del perimetro comunitario" conclude Rosa.

 

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