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Tre luoghi comuni da abbattere sui criteri ESG

8/24/2017

Cresce il numero di studi che dimostra la relazione positiva esistente tra questi fattori e le performance


Al momento della loro nascita nel 2006, i Principi per gli Investimenti Sostenibili delle Nazioni Unite (UNPRI) avevano 100 firmatari che rappresentavano circa 6.500 miliardi di dollari di asset in gestione (AUM). Nel corso di un decennio, il numero degli aderenti è salito a 1.600 per asset in gestione decuplicati a 62.000 miliardi di dollari. L’aumento è dovuto principalmente a tre fattori: i cambiamenti regolamentari, come la regolamentazione del Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti d’America del 2015 sull’ESG nei piani dell’ERISA (Employee Retirement Income Security Act) o la direttiva europea sul Non-Financial Reporting che ha richiesto a 6.000 società di documentare ogni anno le loro informazioni in merito ai criteri ESG a partire dall’inizio del 2016.

In secondo luogo un crescente numero di studi ha dimostrato la relazione positiva esistente tra i fattori ESG e le performance finanziarie della società, a sostegno della teoria secondo la quale i criteri ESG migliorano i risultati finanziari delle imprese. Infine il settore ha compiuto notevoli sforzi per sviluppare gli standard largamente richiesti dalle società, per rendere misurabili e documentabili le performance legate ai fattori ESG. Nonostante gli importanti progressi compiuti per rendere più comprensibile questo approccio "etico" agli investimenti, rimangono però alcune perplessità da parte degli investitori.

Ecco perché Lou Maiuri (nella foto), executive vice president e responsabile di State Street Global Exchange e State Street Global Markets, ha provato ad analizzare i tre principali luoghi comuni che spesso vengono identificati come barriere all’implementazione dei criteri ESG. Eccoli: 

1. “L’integrazione ESG va a discapito dei ritorni finanziari” 
Falso.
Solo una minoranza (35%) degli investitori istituzionali e retail ritiene che un investimento con criteri ESG comporti ritorni inferiori.

2. “Gli obblighi fiduciari precludono l’integrazione ESG”
Falso.
Solo il 10% degli intervistati ritiene che gli obblighi fiduciari rappresentino una barriera all’integrazione dei criteri ESG. Inoltre, il 40% dei fondi pensione e il 51% degli asset manager ritiene che il concetto di dovere fiduciario si stia modificando al punto da incoraggiare l’integrazione ESG.

3. “Le aspettative sulla performance sono troppo di breve termine per l’integrazione ESG”
Falso. 
Il 75% degli investitori istituzionali stima una sovraperformance nel giro di tre anni o più.

Uno sguardo al futuro
"È ormai palese che la sostenibilità e i rischi climatici siano diventati fattori importanti per gli investitori nella valutazione del proprio portafoglio. Tuttavia, per arrivare a una vera integrazione dei fattori ESG, tutto si basa essenzialmente sui dati, ovvero sulla loro trasparenza, il loro utilizzo e l’obiettivo di creare un futuro approccio intelligente agli investimenti. Per quanto riguarda gli investitori istituzionali, inoltre, è necessario che vengano fatti ulteriori sforzi per incrementare la loro conoscenza di queste strategie" conclude Maiuri.

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