Che le donne e gli uomini non siano uguali è un dato di fatto. Che vi sia ancora una disparità di genere in molti settori, è un’altra evidenza. Che sia presente però anche in un settore come quello della consulenza è meno chiaro. Almeno nel principio. Invece uno studio elaborato dal Certified Financial Planner Board of Standard ha messo in luce come anche nel mondo della consulenza, e non solo in quello finanziario in generale, le aziende tendono ad assumere meno donne e soprattutto a pagarle molto meno.

Ma è possibile che questo accada anche in una professione basata sull’autonomia e l’imprenditorialità? Ebbene secondo lo studio non stiamo parlando di un’ipotesi, di un comune sentire, ma di un fatto concreto.

L’indagine ha esaminato la motivazione per la quale solo il 23% dei consulenti certificati sul mercato (si riferisce al mercato UK, ma le evidenze che mostra a nostro avviso si possono anche riferire ad altri mercati, ndr) è donna e perché solo il 31% dei financial advisor è di genere femminile. La motivazione fornita dall’istituto CFP Board creatore dello studio è che non esiste una cultura di accoglienza della donna nella professione e che molte donne sono riluttanti ad assumersi dei rischi professionali rispetto agli uomini, come ad esempio essere pagati ricevendo una commissione, oppure con una percentuale sul proprio patrimonio in gestione.

Il report però evidenzia che il basso numero di donne presenti nella professione è soprattutto un problema di attrattiva, più che di abbandono. Difatti le donne che vi accedono vi restano a lungo, mostrando un livello di abbandono molto più basso rispetto a quello maschile. Insomma, sembra dire, che chi accetta la sfida, poi non si tira indietro.

E poi anche il capitolo remunerazione rappresenta un’ulteriore barriera. Il report evidenzia, ad esempio, che l’entry level garantito a una donna è in genere più basso rispetto a quello proposto ad un uomo, creando un’ulteriore differenza tra i due, e probabilmente disincentivando l’ulteriore ingresso di alcune donne nella professione, aggiungiamo noi.

Inoltre a svantaggio delle donne sarebbe anche la giovane età. Mentre un giovane uomo è considerato dal reclutatore (di solito uomo di mezza età) promettente, ambizioso e sicuramente un soggetto che può affiancare un advisor senior nella gestione dei clienti, la stessa osservazione non è rivolta alle donne giovani, che perlopiù sono considerate inesperte, poco decise e non in grado di relazionarsi efficacemente  con i clienti.

Per questo secondo il CFP Board sarebbe opportuno che fossero istituiti dei programmi pilota che evidenziassero questi gender diversity e che si iniziasse a mostrare anche nella pubblicità una versione al femminile dei consulenti, così da creare un contesto culturale che accetti la donna in tale ruolo.

Perché a differenza di quanto si possa pensare non è vero, come molti sostengono, che le donne siano intimorite dalla professione del consulente perché non le consentirebbe di bilanciare il suo ruolo in famiglia con quello professionale. Anzi lo studio mostra esattamente il contrario. Le donne vorrebbero fare il consulente perché permette di creare un buon equilibrio tra tutti i ruoli che incarna nella propria vita. Sono altri i motivi che le allontanano. Perché allora non agire su quelli?

 

E tu cosa pensi di questo studio? Pensi che rifletta anche quello che accade sul mercato italiano? Non sarebbe corretto offrire le stesse opportunità a livello remunerativo e di accesso alla professione?