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La crisi delle banche è evidente. Ecco perché vinceranno le reti

2/1/2016 | Italo Marchesi

"E per noi essere focalizzati sulla gestione del patrimonio personale, familiare e aziendale è un forte plus". Parola di Paolo Martini (Azimut).


Il 2016 dei mercati finanziari è partito con il segno meno ma Paolo Martini (nella foto), direttore commerciale gruppo Azimut, guarda al futuro con ottimismo ed è convinto che per l'industria della promozione finanziaria sia giunta "l'ora di fare un deciso salto in avanti". Ma soprattutto non ha dubbi: "La crisi del modello bancario è evidente e per Azimut, il fatto di non essere banca ed essere focalizzati sulla gestione del patrimonio personale, familiare e aziendale è per noi un forte plus". 

 

Qual è il bilancio dell’anno appena concluso?
È stato il nostro anno record con 6,7 miliardi di raccolta. Abbiamo offerto performance soddisfacenti ai clienti anche in contesti di mercato non facili, attratto talenti registrando 110 ingressi e mantenuta una crescita equilibrata tra colleghi già in struttura e nuovi arrivati. 

 

Il 2015 è stato un anno positivo, però, per tutta l’industria. In cosa vi siete distinti? 
Il fatto di non essere banca oggi è un valore. Inoltre siamo gli unici indipendenti e tra i pochi a credere che avere una forte fabbrica gestionale alle spalle sia un vantaggio per i clienti, i consulenti e quindi gli azionisti. Soprattutto nei momenti di turbolenze sui mercati parlare direttamente con chi gestisce i soldi è un valore aggiunto che cerchiamo di valorizzare al meglio: attraverso video conference e incontri sul territorio lo scorso anno i nostri gestori hanno incontrato oltre 10.000 clienti. Inoltre crediamo nell’espansione all’estero e oggi siamo una multinazionale presente in 14 Paesi nel mondo con oltre 20.000 clienti fuori dai confini italiani. Infine siamo rapidissimi a cogliere i mutamenti di un mercato sempre più in evoluzione grazie alla nostra struttura piatta e al nostro DNA. Chi comanda da noi è il cliente e quindi i consulenti e vi assicuro che si vede e si respira.

 

Quanto invece il WM, quanto conta per il Gruppo?
Con Azimut WM abbiamo dimostrato che le reti non hanno nulla da invidiare al mondo del Private Banking e che è possibile attrarre professionisti di altissimo livello. Lo provano gli 8,5 miliardi di euro raccolti in pochi anni e la qualità dei 150 professionisti arrivati nella nostra divisione. Operiamo come un vero multifamily office industriale attraverso una piattaforma aperta di soluzioni al servizio del consulente che è l'unico proprietario della relazione con il cliente. 

 

Quindi Azimut ha abbracciato l’architettura aperta?
Siamo evoluti molto negli ultimi anni, su 36 miliardi di masse complessive, oltre 15 sono investiti in diverse soluzioni di investimento: 4 miliardi sono riferibili a fondi di fondi di terzi, 5 miliardi relativi alle gestioni patrimoniali con 3 team dedicati che operano potendo scegliere per il cliente diverse banche depositarie in Italia e all'estero, 5 miliardi tra fondi di case terze e raccolta ordini con i 3 nostri partner, CheBanca!, il Banco Popolare e UBS e quasi 1 miliardo di consulenza a pagamento in titoli con la piattaforma UBS. Ad ogni modo i nostri prodotti rappresentano per noi un valore importante perché conosciamo bene quello che c'è nei portafogli e i gestori sono da sempre riconosciuti come professionisti di assoluta qualità.

 

Però il 2016 è partito male per i mercati. Come state affrontando il contesto attuale?
La crisi del modello bancario è evidente e il fatto di non essere banca ed essere focalizzati sulla gestione del patrimonio personale, familiare e aziendale è per noi un forte plus. Se non cambiano le cose le banche diventeranno sempre più un provider puro di servizi e l'innovazione e il valore aggiunto si sposteranno verso altre società come l'asset management o i Family Office. L'industria della promozione finanziaria possiede solo il 10-12% di quota di mercato, credo sia ora di fare un deciso salto in avanti. Basta volerlo e metterci non solo la testa ma anche il cuore. 

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