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I trust ed il passaggio generazionale

8/27/2014 | Nicola Tufo - Kenton & Miles Italia

L'istituto garantisce continuità alle realtà imprenditoriali, permettendo di superare eventuali fasi critiche dovute alla litigiosità della famiglia o al cambio di compagine sociale


Il trust può essere lo strumento successorio in grado di garantire continuità ed efficienza alle realtà imprenditoriali, permettendo di superare le possibili fasi critiche legate al passaggio generazionale, dovute a vari fattori: la litigiosità all'interno della famiglia interessata, il cambio di compagine sociale o la gestione delle diverse scelte che i singoli componenti della generazione successiva all’imprenditore “fondatore” vogliano porre in essere o compiere.

 

Le problematiche, sopra enunciate, sono maggiormente avvertite nelle piccole e medie realtà aziendali, dove spesso si utilizzano strumenti poco dinamici messi a disposizione dal nostro ordinamento in funzione successoria: ad esempio, le previsioni statutarie che possono prevedere o negare l'ingresso nella compagine sociale a soggetti diversi dai discendenti dell'imprenditore.

 

Il trust permette di risolvere questo problema. In via preliminare, tuttavia, corre l'obbligo di esaminare la compatibilità di detto istituto con i divieti e le tutele previste nel nostro sistema successorio, quali il divieto del patto successorio (art. 458 c.c.), del fedecomesso (art. 692 c.c.), dell'usufrutto successivo (art. 698 c.c.), la successione necessaria e l'eredità devoluta per mezzo di testamento (art. 457 c.c.). La giurisprudenza e la dottrina sono concordi nel ritenere il trust un istituto non in contrasto con i suddetti divieti. Infatti, nel caso in cui il disponente (l'imprenditore) disponga dei suoi beni trasferendoli nel trust quando è ancora in vita, il negozio è da considerarsi “inter vivos” e non “mortis causa”. In tal caso, il beneficiario, che potrebbe essere un erede, non conclude con il disponente alcun contratto, anche perché il trust si istituisce per atto unilaterale da parte del disponente stesso.

 

L’istituto non è nemmeno in contrasto con il divieto di fedecomesso di cui all'articolo 692 c.c. che vieta che l'erede conservi i beni oggetto di eredità per poi, ritrasmetterli secondo una linea predeterminata. Per quanto concerne la successione necessaria, nell'ambito del nostro ordinamento vige il principio della libertà testamentaria. Il Legislatore ha infatti individuato alcuni soggetti ai quali riservare coattivamente una parte dell'asse ereditario, a prescindere dalla volontà del testatore. Il trust non ha, in sé e per sé, la volontà di ledere la quota di riserva prevista dal Legislatore. Se nelle disposizioni attuative del progetto del trust venisse lesa la quota di riserva, l’erede potrà agire giudizialmente per impugnare l'istituto, di modo che questo venga dichiarato inefficace nella parte e per la misura necessaria a reintegrare la porzione di quota legittima violata. Per ovviare a questo divieto, il testatore può preventivamente segregare dal proprio patrimonio i beni che non intenda trasmettere in successione agli eredi legittimi, conferendoli in un trust.

 

Il trustee sarà incaricato di amministrare tali beni nell’interesse del beneficiario indicato dal disponente, corrispondendogli i frutti maturati. Dopo un lasso temporale prefissato dalla data di morte del settlor (imprenditore – de cuius), il trustee trasferirà definitivamente i beni in questione al beneficiario ed il trust esaurirà il proprio compito. Al decesso del disponente, gli eredi legittimi non avranno alcun titolo per avanzare pretese sul patrimonio del trust in quanto esso non era più di proprietà del “de cuius” e non entrerà a far parte dell’asse ereditario.

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