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“Bond: gli investitori prudenti sono quelli più a rischio”

6/21/2017 | Redazione Advisor

Il trade reflazionistico di ispirazione Trumpiana avviatosi a fine 2016 a seguito dell’elezione del nuovo presidente americano ha evidenziato tutte le contraddizioni di un mercato obbligazionario alle prese con un cambiamento (quasi) epocale.


 

Il trade reflazionistico di ispirazione Trumpiana avviatosi a fine 2016 a seguito dell’elezione del nuovo presidente americano ha evidenziato tutte le contraddizioni di un mercato obbligazionario alle prese con un cambiamento (quasi) epocale.

In realtà ormai da anni gli esperti mettono in guardia gli investitori da un’improvvisa impennata dei rendimenti obbligazionari che genererebbe perdite, anche pesanti, in portafoglio. Paradossalmente, gli investitori più a rischio sono proprio quelli più prudenti e che per natura investono prevalentemente sul segmento fixed income. Si tratta infatti di investitori che avendo scelto la bassa rischiosità del segmento obbligazionario adesso si ritrovano titoli che in una fase di rialzo dei rendimenti sarebbero anche quelli più colpiti.

Non a caso l’industria del risparmio gestito già da diversi anni ha costruito una serie di prodotti che investono in modo dinamico sui mercati obbligazionari. Bond governativi, titoli corporate (sia sul segmento investment grade sia sul segmento cosiddetto ‘junk’), e bond dei mercati emergenti, sono solo alcune delle aree di investimento comunemente utilizzate dai gestori per creare valore in portafoglio.

Esistano tuttavia approcci differenti. Alcuni fondi sono gestiti in modo top-down sulla base di scelte strategiche, altri fondi, come ad esempio il Nordea 1 – Flexible Fixed Income Fund, adottano un approccio più sistematico evitando scommesse di tipo macroeconomico. Il risultato di questo differente approccio significa che esistono soluzioni diverse in grado di generare rendimenti diversificati in uno stesso contesto di mercato.

 

Obbligazionari flessibili: non mettere tutte le uova nello stesso paniere. In conseguenza dell’aumento dei rendimenti sui bond nell’ultimo trimestre del 2016 e particolarmente dopo l’elezione di Trump, la maggior parte dei gestori di fondi obbligazionari fixed income che utilizzano un approccio top-down, ha giustamente ridotto l’esposizione alla duration nei propri portafogli e aumentato il peso degli investimenti sui bond high yield o sul debito emergente, spesso anche in modo considerevole. Se da un lato ciò ha permesso loro di evitare perdite consistenti alla fine del 2016 e di continuare a beneficiare del restringimento degli spread di credito nel primo semestre del 2017, rinunciare alla duration significa anche rinunciare a quel driver di rendimento – probabilmente uno dei pochissimi – in grado di proteggere il capitale da fasi di risk-off di mercato.

Espresso in anni e legato alla scadenza media dei bond in portafoglio, la duration misura la sensibilità del portafoglio al movimento dei rendimenti obbligazionari. Quando i rendimenti salgono, la duration contribuisce in modo negativo. Tuttavia, durante le fasi di risk-off, quando ci sono cioè correzioni importanti dei mercati azionari o dei bond high yield, i rendimenti dei bond tendono a scendere essendo (quasi) perfettamente de-correlati.

Come voce fuori dal coro, i gestori del Nordea 1 – Flexible Fixed Income Fund non hanno del tutto rinunciato a questo importante driver di rendimento. A metà giugno 2017 la duration media del portafoglio era di circa 3,8 anni – posizionandosi in modo diverso rispetto al resto dei concorrenti, particolarmente dei fondi gestiti in modo top-down. Sebbene la duration non sia l’unico ingrediente ‘difensivo’ del portafoglio rimane sicuramente uno dei più efficaci a protezione del capitale durante le fasi di turbolenza dei mercati.

Pertanto, quando si scelgono i prodotti da inserire in portafoglio e vitale utilizzare prodotti gestiti in modo diverso in modo da migliorare la diversificazione complessiva del portafoglio.

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