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4/28/2015 | Redazione Advisor
Da un po’ di tempo ormai non discutevamo le dinamiche della moneta unica, ma ancora una volta il problema della sua idoneità per tutti i membri dell’Eurozona torna in cima ai timori economici, in quanto la Grecia si trova nuovamente a dover prendere alcune decisioni difficili. La crisi finanziaria ha impartito numerose lezioni: la politica fiscale funziona, la politica monetaria funziona, un quadro di normative migliori gioca a favore del sistema finanziario, la fiducia è essenziale e, soprattutto, i tassi di cambio contano.
Nel corso della crisi, uno dei meccanismi economici che ha aiutato le economie maggiormente in sofferenza è stato il tasso di cambio. Ciò è messo in luce dal crollo della sterlina nel 2007 in termini ponderati su base commerciale, dal deprezzamento del dollaro nel periodo 2009-2011, dello yen a partire dal 2013, e dell’euro negli ultimi tempi.
Alla base di queste oscillazioni dei cambi esteri troviamo i vigilantes valutari. Tipicamente queste oscillazioni dei cambi esteri esterni rendono il lavoro più a buon mercato e di conseguenza sostengono il recupero dell’economia. Tuttavia, come sappiamo, questo meccanismo non esiste nell’Eurozona, per via della creazione dell’unione monetaria. Credo che i tassi di cambio siano divenuti relativamente più importanti nel determinare gli esiti economici a livello nazionale e ciò è particolarmente rilevante per la Grecia in questo momento. Le tre principali leve macroeconomiche sono la politica monetaria, la politica fiscale e il tasso di cambio.
La politica fiscale è ancora in mano ai politici e può pertanto essere utilizzata per offrire un forte impeto quando è necessario differenziare gli esiti nazionali (anche se in misura minore in Europa). La politica monetaria si è essenzialmente avvicinata allo zero bound (limite zero) nelle economie G7 principali, il che significa che i tassi brevi sono divenuti enormemente correlati. Senza la possibilità di differenziare gli esiti economici tagliando i tassi, la flessibilità economica a livello nazionale è stata ridotta, il che vuol dire che il tasso di cambio gioca un ruolo più importante di quello svolto storicamente. Questo sta funzionando tra i maggiori blocchi economici.
Tuttavia, con la crescente necessità di questa famosa “mano invisibile”, ciò non è stato possibile all’interno dell’Eurozona. Di conseguenza la Grecia deve in qualche modo adattarsi senza avere a disposizione margine di manovra a livello fiscale, monetario e di flessibilità del tasso di cambio. La Grecia necessiterebbe almeno di una generazione per risolvere i suoi problemi tramite riforme strutturali, visti i limiti entro i quali può agire. La soluzione di breve termine quindi per il Paese ellenico sarebbe quella di un salvataggio tramite trasferimenti fiscali diretti, o permettendo un default greco. Si tratta ovviamente di opzioni difficilmente attuabili, dati i dilemmi politici che molti Paesi si troverebbero a dover affrontare nell’apportare quest’assistenza.
La Grecia ha già dovuto far fronte a difficoltà, tuttavia sono aumentate ora le pressioni per trovare una soluzione in quanto le opzioni di politica economica sopraelencate sono maggiormente incentrate sul dilemma del tasso di cambio, e il contesto politico in Grecia indica un governo più incline a prendere misure radicali di fronte a una grande depressione.
La capacità della Grecia di supportare i propri cittadini è danneggiata quanto la sua famosa Venere di Milo. Forse i politici si renderanno conto che la mano invisibile del tasso di cambio rappresenta ancora un valido strumento, e che una dracma in libera fluttuazione, la soluzione “Expulso”, sebbene un duro colpo, potrebbe rappresentare il miglior tentativo di apportare una soluzione economica, data l’entità dei problemi greci.
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