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Solo gli esperti chiedono un consulente

8/6/2016 | Massimo Morici

Solo in pochi seguono la regola di Buffett:“Sii avido quando gli altri hanno paura”.


Facile a dirsi e difficile da mettere in pratica, la lezione di Napier possiamo comunque riassumerla così: la prossima fase di bear market globale avrà conseguenze importanti anche sull’economia globale (ci sarà una nuova crisi globale?) e spingerà forse la maggior parte degli investitori a vendere, ma sarà un’occasione, per chi è liquido, anche per comprare a prezzi stracciati. Lo ripete spesso nelle interviste un decano della consulenza finanziaria italiana come Ennio Doris (presidente di Banca Mediolanum, ndr), che sembra fare coro all’ormai nota regola, per lo meno tra gli investitori professionali, di Warren Buffett: “Sii avido quando tutti hanno paura; abbi paura quando tutti sono avidi”. 
Un approccio ai mercati, come si diceva, seguito da pochi, perché il gregge si muove in altro modo, salvo poi scoprire che le porte, quando si scappa, sono piccole e il rischio di farsi male è alto. Di mezzo, questa volta, c’è la finanza comportamentale: la scarsa diversificazione del portafoglio degli italiani, che li ha portati a mancare le occasioni presentate sui mercati negli ultimi dieci anni (gli esperti fanno notare oltre l’ancora eccessivo peso delle obbligazioni bancarie e dei titoli di Stato in portafoglio o la scarsa esposizione alle Borse globali, che storicamente sovraperformano Piazza Affari), ha a sua volta una sola causa: il basso livello di educazione finanziaria che va di pari passo con la scarsa propensione a richiedere un servizio di consulenza finanziaria. 
Il consulente, infatti, agisce spesso in via complementare rispetto alla cultura finanziaria e la integra, contribuendo a migliorare la qualità delle scelte di investimento dei risparmiatori. Lo ha mostrato un recente Quaderno di finanza della Consob (dal titolo "Financial advice seeking and financial knowledge. Evidence from the Italian market") che ha sottolineato come in Italia gli individui “in possesso di limitate conoscenze finanziarie e più sicuri di loro stessi (overconfident), che potenzialmente beneficerebbero più degli altri dei consigli di un esperto, appaiono invece più propensi ad affidarsi ai suggerimenti di parenti e conoscenti (cosiddetto “informal advice)”. La domanda di consulenza risulta, invece, inversamente proporzionale all'overconfidence che, a sua volta, si riduce al crescere delle conoscenze finanziarie. Detto altrimenti, sono proprio i risparmiatori più sofisticati (che spesso è sinonimo di più ricchi) a mostrare la maggiore propensione ad affidarsi a un esperto. La propensione ad avvalersi del servizio di consulenza finanziaria è insomma "più elevata tra chi dichiara di sentirsi più motivato a investire quando sente di potersi fidare dell'intermediario a cui si rivolge".
Ma anche il consulente finanziario deve stare attento e non è detto che il suo intervento sia sempre la panacea di tutti i mali del risparmio “tradito” degli italiani. Un recente studio di Cerulli Associates, effettuato negli Stati Uniti d’America, ha mostrato che nell’ultimo decennio (2005 -2015) i portafogli “pre-confezionati” (+22,8%) hanno fatto meglio sia dei piani “ibridi” (+11%), in cui il consulente apporta alcune modifiche rispetto al portafoglio standard di partenza, sia dei portafogli “su misura” deii cliente (+14,1%). Se la regola di Napier è difficile da seguire, forse è meglio rifarsi al precetto socratico, quel “so di non sapere” che ha fatto la storia della filosofia. E che sembra valere proprio per tutti in finanza.

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