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Consulenti, attenzione alle "proprietà esclusive"

1/13/2017 | Gianmarco Di Stasio*

Non è raro infatti che alcuni clienti “raccontino” la loro situazione patrimoniale dando per scontato che “la società” o “l’azienda” sia di loro proprietà esclusiva, invece...


Dopo la riforma del diritto di famiglia del 1975 la maggior parte dei novelli sposi, all’atto del matrimonio, hanno optato per il regime della separazione dei beni al fine di evitare che tra essi si instaurasse “automaticamente” il regime legale della comunione. In molti sì... ma non tutti. Non è infrequente, infatti, che due coniugi si trovino in regime di comunione legale dei beni e senza, peraltro, conoscerne completamente le implicazioni. In particolare, il regime della comunione legale dei beni condiziona notevolmente la titolarità delle imprese e le utilità che ne derivano, che si tratti di imprese esercitate sia in forma individuale, sia in forma societaria.

 

Non è raro infatti che alcuni clienti “raccontino” la loro situazione patrimoniale dando per scontato che “la società” o “l’azienda” sia di loro proprietà esclusiva, “bene personale” per intenderci, perché di fatto l’hanno costituita loro, loro la gestiscono e via dicendo. Ma se il cliente in questione è coniugato in regime di comunione legale dei beni, la sua “proprietà esclusiva” così scontata non è.

 

È fondamentale chiarire preliminarmente che la comunione legale per taluni beni è immediata, per altri invece è “differita” (c.d. comunione de residuo). Quest’ultima si caratterizza e si distingue rispetto alla “classica” comunione (immediata) per la circostanza che i beni cui si applica si considerano oggetto di comunione solo se sussistono al momento dello scioglimento della stessa. In altri termini, per semplificare, se due coniugi sono sposati in regime di comunione legale dei beni, ve ne saranno: (i) alcuni sempre personali (ad esempio i beni acquistati prima del matrimonio, oppure quelli ricevuti per donazione o per successione), (ii) alcuni oggetto di comunione immediata (ad esempio tutti, salvo alcune eccezioni, gli acquisti compiuti dai coniugi, anche separatamente, durante il matrimonio) (iii) altri, invece, diventano oggetto di comunione solo se “residuano” al momento dello scioglimento della stessa (morte di un coniuge o separazione/divorzio).

 

Come collocare in questo quadro i beni e le utilità economiche riconducibili all’attività imprenditoriale di uno dei (o anche entrambi) i coniugi?

 

Le aziende: quelle gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio sono oggetto di comunione legale immediata; di quelle, invece, gestite da entrambi, ma costituite anteriormente al matrimonio da uno solo dei coniugi, sono oggetto di comunione immediata soltanto gli utili e gli incrementi; qualora, infine, l’attività aziendale sia esercitata da un solo coniuge, indipendentemente dal fatto che l’impresa sia stata avviata prima o dopo il matrimonio, i proventi e gli incrementi di tale attività formano oggetto di comunione de residuo, e cioè, come già evidenziato, solo se sussistono al momento dello scioglimento del matrimonio.

 

Le società: il codice civile, all’articolo 177, nell’elencare i beni oggetto della comunione, alla lettera a), parla latu sensu di “acquisti”; ma se l’acquisto in questione concerne partecipazioni sociali?

 

Sul punto occorre operare un distinguo: è pacifica, infatti, in dottrina, la tesi secondo cui, qualora le partecipazioni acquistate implichino per il coniuge l’assunzione di responsabilità limitata (S.r.l., S.p.A., ecc.), le quote (o azioni) formeranno oggetto di comunione legale immediata; gli acquisti, invece, di partecipazioni in società di persone, con assunzione di responsabilità illimitata, formeranno oggetto di comunione de residuo. La ragione? Salvaguardare il coniuge non imprenditore e non partecipe dell’attività dal rischio della responsabilità patrimoniale illimitata.

 

*avvocato dello Studio Legale Russo De Rosa Associati (studio legale e tributario)

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