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Il grande divario da colmare

11/5/2018 | Francesco D'Arco

Secondo un rapporto firmato Consob, più del 50% degli intervistati non è in grado di definire in cosa consista il servizio di consulenza in materia di investimenti...


Il “Rapporto sulle scelte di investimento delle famiglie italiane” firmato dalla Consob è giunto alla sua quarta edizione e, anche quest’anno, conferma il difficile rapporto tra famiglie italiane e consulenza finanziaria. Dati alla mano più del 50% degli intervistati non è in grado di definire in cosa consista il servizio di consulenza in materia di investimenti e nel 37% dei casi gli investitori sono convinti che la consulenza sia gratuita. Non solo. Mentre nel 45% dei casi le famiglie dichiarano di non sapere se il consulente sia retribuito, ben 1 cliente su 2 dichiara di non essere disposto a pagare per il servizio di advisory. 

Se a questi dati aggiungiamo, da un lato, le rilevazioni presentate da McKinsey in occasione dell’edizione napoletana di Consulentia18, che parlano di una riduzione dei ricavi nel solo 2018 per l’industria di circa 150 milioni di euro, e l’ormai imminente avvicinarsi dell’appuntamento con la rendicontazione formato MiFID II, che mostrerà ai clienti già acquisiti il reale costo della consulenza, è evidente che l’industria dovrà lavorare duramente per colmare un divario importante ancora oggi esistente tra consulenti e clienti (acquisiti e da acquisire). Ma tale divario non risiede, come molti pensano, sul tema costi. Quello è solo la parte più evidente di un problema ben più profondo e ben descritto da Massimo Caratelli, professore dell’Università degli Studi Roma Tre che ha presentato una ricerca sulla relazione consulente-cliente realizzata con la collaborazione di Nadia Linciano e Paola Soccorso (Consob), Joe Capobianco (OCF), Nicola Ronchetti (Finer). 

Famiglie e professionisti mostrano distanze importanti quando si parla di attese, aspettative, obiettivi e giudizi sulla pianificazione finanziaria. Un esempio su tutti: oggi i consulenti finanziari dichiarano di chiedere ai propri clienti di esprimere i propri obiettivi di investimento in termini di “protezione e crescita del capitale” (così afferma il 75% dei professionisti), eppure i clienti affermano che il proprio cf chiede di esprimere gli obiettivi di investimento in termini “rendimento atteso” (84% dei clienti). Forse il grande divario da colmare non risiede nel tema costi ma nell’impostazione stessa della relazione. Nell’era della MiFID II non può esistere una tale discordanza sugli obiettivi iniziali della pianificazione finanziaria. Difficile sensibilizzare il cliente al valore della consulenza finanziaria (e quindi al suo reale costo) se ancora non si riesce ad avviare un confronto chiaro e trasparente sugli obiettivi futuri.

Tratto dall'editoriale del numero di novembre di ADVISOR, in edicola i prossimi giorni

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