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6/8/2019 | Francesco D'Arco
Tra il 2007 e il 2017 il peso dei ricavi da consulenza, derivanti da consulenza a pagamento o da gestioni patrimoniali, è cambiato in maniera significativa all’interno dei bilanci delle banche e delle reti di consulenti finanziari. A rivelarlo un’analisi condotta dalla società di consulenza Excellence Consulting sui modelli di business nell’asset & wealth management partendo dai dati di bilancio delle principali banche italiane (Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banco BPM, MPS, UBI, BPER, Credem, Creval) e delle banche reti di consulenti finanziari (Fideuram, Mediolanum, Fineco, Banca Generali, Azimut, Allianz Bank FA, Deutsche Bank FA, IW Private, Widiba). In particolare, nel periodo 2007-2017, l’incidenza sul totale delle commissioni attive dei ricavi da consulenza, nelle banche italiane, si è ridotta dal 23% all’11%. Mentre le reti hanno visto, nello stesso periodo, aumentare questa incidenza in modo importante: è passata dal 35% al 55%. Di fronte alla prima MiFID (in vigore dal 2007) e in vista dell’arrivo della seconda versione della direttiva europea (avvenuta nel 2018) è evidente che banche e reti hanno reagito in maniera differente. Le prime hanno preferito concentrarsi su un modello di business di puro collocamento di titoli, fondi e prodotti assicurativi. Le seconde, invece, hanno virato verso la consulenza ma, come specificato dalla stessa Excellence Consulting, hanno scelto un modello di advisory differente da quello tipico dei mercati anglosassoni (la consulenza a pagamento basata su una specifica fee di advisory, ndr) per privilegiare l’offerta ai clienti di servizi di gestione patrimoniale, nell’ambito dei quali il costo della consulenza è gestito con modalità simili a quelle applicate per le management fee previste per i singoli fondi di investimento. Insomma si è passati dal “collocamento di prodotti” al “collocamento di servizi”, una scelta che ha permesso alle società di non stravolgere il “modello di relazione” cliente-consulente e, allo stesso tempo, di rispettare le nuove norme europee. Come ricorda, però, Maurizio Primanni, ceo di Excellence Consulting, in “futuro sarà necessario trovare ulteriori revenue pool, ad esempio attraverso lo sviluppo dei prodotti di investimento alternativi che finanziano l’economia reale; lo sviluppo dei servizi di Wealth Management, oppure il lancio di una nuova generazione di servizi di negoziazione titoli e consulenza su amministrato”. Uno sviluppo di nuovi servizi che, evidentemente, non potrà essere proposto seguendo sempre lo stesso modello di relazione e che richiederà nuove logiche di pricing. Per trasformare questa evoluzione in un’ulteriore crescita del settore sarà importante però agire su due fattori: le competenze dei consulenti e, soprattutto, la percezione del cliente finale che forse, pagando le fee sempre seguendo “modalità simili” all’era pre-MiFID, non ha ancora colto la differenza tra un servizio e un prodotto. Per questo è ora di passare dal concetto di “collocamento” a quello di “erogazione”. Solo così sarà possibile avvicinare i clienti a nuove “forme” di commissioni.
Tratto dall'editoriale del numero di giugno di ADVISOR, in edicola i questi giorni
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