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Cinque domande per il 2023

1/9/2023 | Francesco D'Arco

E ora? Per la prima volta, dopo 14 anni, il nuovo anno, dal punto di vista economico-finanziario, inizia all’insegna dell’incertezza. Bisogna risalire alla fine del 2008 per rivedere nei volti dei consulenti finanziari (e non solo) quell’espressione dubbiosa


E ora? Per la prima volta, dopo 14 anni, il nuovo anno, dal punto di vista economico-finanziario, inizia all’insegna dell’incertezza. Bisogna risalire alla fine del 2008 per rivedere nei volti dei consulenti finanziari (e non solo) quell’espressione dubbiosa di chi non sa quale rotta potranno prendere gli investimenti e quali paure travolgeranno i clienti. Ma bisogna andare molto più indietro nel tempo per rivivere un inizio d’anno caratterizzato contemporaneamente da incertezza politica, economica e sociale a livello globale.

Con questo spirito ci accingiamo ad affrontare un 2023 che sembra dominato più dalle domande che dalle risposte, più dai dubbi che dalle certezze. Dubbi generati dai grandi macro-stravolgimenti che hanno caratterizzato l’anno da poco concluso. Dubbi che possono essere sintetizzati in cinque domande le cui risposte saranno cruciali per determinare l’andamento del nuovo anno.

La prima è prevedibile: quando e come finirà la guerra tra Russia e Ucraina? Una domanda che non ha una risposta, ma sulla quale è anche impossibile fare previsioni, tante sono le variabili da considerare. Da quel 24 febbraio 2022, giorno in cui la minaccia di Putin si è trasformata in realtà, sono cambiati tutti gli equilibri internazionali e, a quasi un anno dall’inizio del conflitto, ancora non si vedono spiragli per una via d’uscita. Un contesto che, dal punto di vista economico (e non solo), potrebbe avere le maggiori ricadute sull’Europa.

La seconda è, in parte, conseguenza della prima: sarà un anno di grande inflazione e di recessione? Dipende dagli occhiali che indossiamo. Questa potrebbe essere la risposta più adeguata, perché il 2022 ha visto l’inflazione crescere al punto da raggiungere circa i 10 punti percentuali, creando malessere tra gli investitori e le famiglie. E, di conseguenze ha visto le banche centrali reagire con decisione al punto da definire fin dai primi mesi dell’anno scorso un percorso “aggressivo” contro l’inflazione senza mai dare segnali di inversione. La Fed non ha mai fatto marcia indietro e ha dichiarato che contro l’inflazione “farà sul serio” anche per tutto il 2023. La BCE non è da meno, e nei verbali relativi alla riunione di ottobre emerge chiaramente che la proposta di incrementare i tassi di 75 punti base, avanzata dal capo economista Philip Lane, “è stata sostenuta da un’ampia maggioranza”. E anzi, si dovrebbe continuare in questa direzione: “In caso di recessione superficiale - si legge nei verbali - il consiglio direttivo dovrebbe continuare a normalizzare e inasprire la politica monetaria, mentre potrebbe voler sospendere se si verificasse una recessione prolungata e profonda, che potrebbe frenare l’inflazione in misura maggiore”. Dall’altra parte ci sono analisti e gestori che guardano all’inflazione come ad una variabile pronta a invertire la sua rotta, ma le banche centrali sembrano ormai decise a non cambiare direzione per nessun motivo, considerandola ancora come una variabile destinata a crescere a dismisura.

Alla fine i due punti di vista differenti hanno inevitabili ripercussioni su economia e mercati e si arriva inevitabilmente ad una terza domanda: di fronte al pericolo recessione saremo di nuovo salvati dalla Cina? Qui la risposta dominante degli economisti sembra essere negativa. Se nel 2009 il gigante asiatico fu determinante per trainare l’intera economia mondiale fuori dalla “Grande Recessione”, oggi le decisioni economiche cinesi avranno effetti soprattutto per il paese e difficilmente potranno aiutare il mondo occidentale che, ormai da anni, ha rapporti sempre più “freddi” con la Repubblica Popolare presieduta da Xi Jinping.

Le tre domande precedente generano tra le famiglie, forse, una delle domande più difficili da gestire per un consulente finanziario nel 2023: in questo anno di guerra, inflazione e recessione dove e come investo? Secondo l’Indagine sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2022 realizzata dal Centro Einaudi e Intesa Sanpaolo, le famiglie oggi sono guidate, nel valutare gli investimenti, dalla paura di perdere denaro. A ridosso dell’anno 2000, le due maggiori preoccupazioni nel processo di investimento per le famiglie erano scegliere quando investire (il timing, ora al secondo posto, indicato dal 42,5% del campione) e come suddividere il risparmio (l’asset allocation, oggi al terzo posto, 31% del campione). Nel 2022, timing e asset allocation lasciano il primo posto alla valutazione del rischio delle soluzioni di investimento (52,9%). In un periodo di forte volatilità, la paura di perdere il denaro ha favorito questo passaggio. Certo, da un lato, può essere letto come un fattore positivo, finalmente gli italiani hanno capito che ogni investimento comporta l’assunzione di un rischio, da conoscere prima di investire. Ma il rischio che questa paura si trasformi in un freno e in un aumento dei disinvestimenti, con le inevitabili ricadute su tutta l’industria del risparmio gestito e della consulenza finanziaria, è alto.

Quello che i professionisti della pianificazione del risparmio possono fare è cercare di trasformare questa paura in una lezione per approcciare anche in futuro gli investimenti con una maggiore consapevolezza sulla variabile “rischio”. Ma in questo contesto, e al di là dell’aspetto meramente educational, delle linee guida per aiutare le famiglie a scegliere il corretto investimento ci sono? Come vedrete negli approfondimenti pubblicati sul numero di gennaio di ADVISOR delle linee guida, e delle previsioni su varie asset class, ci sono e, accanto alle tradizionali offerte, emergono con forza gli strumenti “alternativi”, il cosiddetto mondo dei private markets, e l’ormai immancabile offerta ESG.

Proprio il mondo ESG apre le porte ad una quinta e ultima domanda: quale futuro per la sostenibilità? I più convinti “ambientalisti” risponderebbero a questa domanda sostenendo con forza che “non c’è futuro senza sostenibilità” ma, al di là delle convinzioni personali sul tema, credo che questa sia forse l’unica delle cinque domande ad avere una risposta unica e condivisa da tutti. Quale? Sarà un futuro “pragmatico”. La consultazione avviata a novembre dall’ESMA, dal titolo “On Guidelines on funds’ names using ESG or sustainability-related terms”, ha dato la stretta finale dal punto di vista normativo ad un’offerta ESG che ancora oggi si presenta a tratti confusa e difficile da valutare. Nel corso del 2023 saranno introdotti nuovi paletti sempre più rigidi che costringeranno gli attori del mercato a non abusare più del termine “sostenibile” (e simili) e di essere trasparenti anche nelle dichiarazioni di investimento (una delle novità sarà, infatti, quella di consentire l’utilizzo di termini quali sostenibilità e ESG nei nomi dei fondi solo a determinate condizioni. Un cambio epocale per un’industria che spesso ha fondato il successo di alcuni fondi sulla libertà di “marketing”, ndr). Insomma, al di là di come si concluderà la consultazione, è evidente che ormai la parola d’ordine per il nuovo anno sembra essere “tolleranza zero per il greenwashing”.

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