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Iraq e Siria: ecco gli effetti sui mercati obbligazionari

7/18/2014

Se scoppiasse una crisi regionale il prezzo del petrolio salirebbe molto e gli investitori si dirigerebbero in massa verso i porti sicuri: Bund, Gilt, Treasury USA e OAT. Lo spiegano Eric Chaney, head of research di AXA IM e Manolis Davradakis, senior emerging economist AXA IM.


Il caos in Iraq ha fatto salire di 10 dollari al barile il prezzo del greggio, sia a pronti sia a termine. Ci si chiede quindi se l'intensificarsi dei disordini nel paese del Golfo, in Siria ed eventualmente nei paesi limitrofi potrebbe far deragliare la ripresa globale sconvolgendo i mercati finanziari. Di seguito un commento a cura di Eric Chaney, head of research di AXA IM e Manolis Davradakis, senior emerging economist AXA IM.
 
Se scoppiasse una guerra civile i prezzi certamente salirebbero molto. La produzione di petrolio dell’Iraq è stimata in 3,1 milioni di barili al giorno, ovvero il 3,7% della produzione di petrolio su scala globale. Quasi il 70% della produzione irachena viene esportato, ovvero il 5,6% del greggio scambiato a livello internazionale. Pertanto l’Iraq conta. Una crisi regionale che coinvolgesse l’Iran (4,0% della produzione di petrolio globale) e il Kuwait (3,7%), oltre a Siria e Iraq, potrebbe determinare un profondo sconvolgimento nella fornitura di petrolio verso i paesi importatori. 
 
La crisi in Iraq seguita da un lungo periodo di guerra civile, contrassegnata da periodici cessate il fuoco, come avvenne in Libano nel periodo 1975 – 1990, bloccherebbe il flusso di investimenti verso l'Iraq e impedirebbe un aumento della produzione su livelli adeguati alle riserve certe del paese (9% delle riserve certe globali). Ciò probabilmente contribuirebbe a far salire il prezzo di equilibrio del greggio nel lungo termine poiché l’Iraq è l’unico produttore in grado di competere con l’Arabia Saudita in qualità di swing producer, riducendo quindi il potere di acquisto del produttore principale.
 
In uno scenario negativo, il caos politico andrebbe oltre l’Iraq e coinvolgerebbe Siria, Iran e Kuwait, ma non sarebbe in grado di destabilizzare Arabia Saudita, Qatar ed Emirati. Gli Stati Uniti non vogliono un intervento militare diretto, tuttavia sono abbastanza influenti da impedire lo scoppio della crisi in Iraq, e nel 2015 potrebbe esserci un periodo di fragile stabilizzazione. In questo scenario relativamente favorevole cerchiamo di quantificare il prezzo del petrolio. Certamente potrebbero delinearsi scenari assai peggiori.
 
Abbiamo stimato la sensibilità del prezzo del greggio rispetto a un'interruzione delle forniture. Presupponiamo una perdita temporanea della produzione di 5 milioni di barili al giorno (circa il 6% della produzione mondiale e il 13% del petrolio scambiato) nelle prossime settimane. Il prezzo del greggio balzerebbe a 150 dollari al barile o oltre, poi scenderebbe quando gli altri produttori come Arabia Saudita e Libia iniziassero a colmare il divario. Dato che non ci aspettiamo lo scoppio di un conflitto in Iraq, nel corso del 2015 potrebbe esserci una certa stabilità politica, col ritorno all’attività per quanto concerne la produzione di greggio e le esportazioni. Pertanto ipotizziamo che in media il prezzo del greggio sia di 114 dollari al barile nel 2015, non molto lontano dal nostro scenario di base.
 
In base alle nostre stime, l’interruzione delle forniture di petrolio e la conseguente impennata dei prezzi farebbero scendere il Pil reale globale di 1 punto percentuale nel 2014-2015 rispetto al nostro scenario di base. L’inflazione globale salirebbe di circa 0,8 punti percentuali nel 2014-2015. Per quanto concerne i mercati finanziari, non beneficerebbero di un taglio dei tassi da parte delle banche centrali poiché i tassi sono già intorno allo zero. Tuttavia riteniamo che le banche centrali faranno in modo da attutire lo shock immettendo più liquidità, sfruttando tutti gli strumenti che hanno a disposizione dal 2008. Anche se le iniezioni di liquidità da parte delle banche centrali contenessero l'ondata di panico, gli investitori si dirigerebbero comunque verso i porti sicuri come Treasury americani, Bund tedeschi, OAT francesi e Gilt britannici, oltre che verso l’oro. 
 
Nell’Eurozona i rendimenti dei Bund scenderebbero temporaneamente sotto l’1,0% e gli spread periferici si amplierebbero a causa dell’avversione al rischio degli investitori. Lo stesso vale per i prodotti a spread, come i mercati del credito (investment grade e alto rendimento) e il debito dei mercati emergenti. Per quanto concerne il mercato azionario, gli anni '70 possono essere considerati un riferimento qualitativo. Anche se l’economia globale è assai meno sensibile alle oscillazioni del prezzo del petrolio rispetto ad allora, un calo della produzione globale dell'1% avrebbe ancora un forte impatto sugli utili effettivi e previsti. Inoltre, le valutazioni del mercato sono molto più alte (18x) rispetto al 1973 (12x). Allora i mercati azionari globali scesero di oltre il 50% che ci sembra ancora l’esito più probabile.

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