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Fondi comuni, leggere con attenzione le "etichette"

7/27/2015

Alla fine degli anni '80 vigeva la regola 60/40. All'inizio del millennio la parola d'ordine era "asset alternativi". Oggi si parla di "crescita diversificata". Ma cosa si nasconde dietro agli slogan?


Alla fine degli anni Ottanta la risposta alle esigenze dei grandi investitori istituzionali (ma anche degli investitori retail) era la formula "60/40", dove 60 indicava la percentuale di portafoglio dedicata agli investimenti azionari e 40 quella investita in strumenti obbligazionari. Una "combinazione statica" che "giocò perfettamente a favore degli investitori" spiega Tony Finding, co-gestore del fondo multi asset M&G Dynamic Allocation: "le performance della strategia non si allontanavano da quelle azionarie, mentre la componente obbligazionaria attutiva la volatilità e apportava diversificazione in periodi come quello del crollo dei mercati nel 1987". Ma negli ultimi 30 anni la differenza tra rendimenti obbligazionari e azionari è stata modesta e con lo scoppio della bolla tecnologica all'inizio del nuovo millennio le priorità cambiarono.

 

"Il segmento azionario nel suo complesso perse valore" continua Finding. "Gli investitori cercarono di aggiungere asset alternativi per apportare crescita ai loro portafogli (e con alternativi intendevano asset che potevano essere remunerativi quando le azioni perdevano terreno). Gli hedge fund e le materie prime hanno guadagnato terreno durante i primi anni del nuovo millennio, acquistando un ruolo di rilievo nel portafoglio di molti investitori istituzionali". Ma anche in questo caso arrivò una turbolenza che cambiò completamente lo scenario: la crisi del 2008. "Molti hedge fund e molte commodity non apportavano la protezione che gli investitori avevano sperato. Furono piuttosto gli asset obbligazionari, beneficiando del ribasso dell’inflazione e dei tassi di interesse contenuti, ad offrire più diversificazione e buoni rendimenti a partire da allora" spiega il co-gestore del fondo multi asset M&G Dynamic Allocation. "I Treasury statunitensi generavano esattamente gli stessi risultati che in molti avevano inizialmente cercato di ottenere tramite gli hedge fund".

 

Ed ecco che i nuovi trend diventarono le soluzioni risk parity e i fondi di crescita diversificata che implicitamente o esplicitamente enfatizzano il loro potenziale di conseguire rendimenti assoluti, e con rendimenti assoluti intendono solitamente crescita senza la possibilità di drawndown nel breve termine. "Dunque, ciò che vogliono gli investitori (e ciò che l’industria è lieta di offrire) è spesso determinato da quello che è appena stato vissuto dai mercati. Ogni volta che i mercati hanno attraversato fasi turbolente, l’industria ha cercato nuove soluzioni" afferma Tony Finding. "Ciò suggerisce che dovremmo guardarci da affermazioni secondo le quali “l’ultima novità” apporterà rendimenti assoluti in tutti i regimi (e con regimi intendiamo le caratteristiche economiche e politiche di un dato periodo di tempo, per esempio, le dinamiche di inflazione o il potere relativo tra forza lavoro e capitale)".

 

Tali caratteristiche cambiano costantemente e pertanto è davvero impossibile generare rendimenti assoluti in regimi multipli? "Crediamo che tutte le strategie possano essere viste come un equilibrio tra due gruppi: asset di crescita e asset di diversificazione" risponde il gestore di M&G. "Gli asset di “crescita” offrono un flusso di reddito che può crescere assieme all’inflazione e includerà i segmenti azionario e immobiliare (quando affitti e prezzi possono crescere in termini reali). Gli asset che non offrono questo potenziale di eguagliare o superare l’inflazione possono essere considerati asset di “diversificazione”. Essi possono apportare rendimenti simili a quelli della crescita ma solo sulla base del rialzo dei prezzi. I flussi di reddito saranno fissi nel caso delle obbligazioni, o persino inesistenti nel caso delle materie prime. Gli investitori dovrebbero stabilire in modo tattico come utilizzare questi asset di diversificazione in quanto, a meno che non abbiano convinzioni molto salde di come performeranno i loro prezzi, è probabile che debbano rinunciare in parte a rendimenti reali aggiungendoli al portafoglio".

 

Ma qualunque soluzione individueranno oggi gli investitori devono aver ben chiaro che "non vi è alcuna garanzia che sarà sempre così. Sembra poco probabile che le strategie che hanno generato rendimenti assoluti in questo regime continuino a farlo, a meno che non siano costruite su un processo che si muova dinamicamente tra crescita e diversificazione con il variare del regime" chiosa Finding che invita tutti a controllare con attenzione le "etichette" dei singoli fondi. "Una delle ultime strategie di investimento a guadagnare popolarità in anni recenti è stata quella offerta dai “fondi di crescita diversificata” che, stando alle previsioni, dovrebbe arrivare ad attrarre fino a 200 miliardi di sterline entro il 2018" conclude il gestore. "Il termine fondo di “crescita diversificata”, proprio come quello di “hedge” fund è un’etichetta che racchiude una vasta gamma di approcci. In entrambi i casi, tendono ad avere aspirazioni di performance specifiche (un vero rendimento che cercano di generare ogni anno piuttosto che un obiettivo di superare un benchmark) e flessibilità significativa in cosa possono investire e in cosa possono mescolare. Queste strategie offrono il potenziale di generare ciò che promettono. Ma dobbiamo essere certi di sapere cosa stiamo comprando. Se l’accento è posto più sulla “diversificazione” che sulla “crescita” e ciò rappresenta una caratteristica statica della strategia, un investitore deve sapere il ruolo che ciò svolge nel portafoglio a livello più ampio. Una valutazione del regime e la capacità di analisi sono elementi chiave".

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