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Guerra delle valute: ecco i vinti e i vincitori

11/12/2015

Tre esperti di Natixis Global Asset Management analizzano lo stato di salute, il potere d’acquisto e i possibili interventi manipolativi sui mercati valutari globali


Chi sono i vincitori e vinti nell'attuale guerra delle valute? Difficile dirlo, perché le politiche divergenti delle banche centrali, il rallentamento della Cina e il crollo dei prezzi delle commodity suggeriscono che la volatilità delle valute ci terrà compagnia per un certo periodo di tempo, si legge in un recente report di Natixis Global Asset Management in cui tre esperti degli investimenti del gruppo analizzano lo stato di salute, il potere d’acquisto e i possibili interventi manipolativi sui mercati valutari globali.

"Sebbene i paesi continueranno a gestire (manipolare?) le proprie valute per massimizzare la crescita economica, tutto ha un prezzo. I veri vincitori sono quei paesi e quelle imprese che producono beni e servizi nel modo più efficiente possibile" spiega David Lafferty, chief market strategist di Natixis Global Asset Management ricordando che la svalutazione monetaria non è più in grado di rilanciare le esportazioni come accadeva un tempo, come è emerso in un recente studio della Banca Mondiale. "Oggi è probabile che vengano esportati prodotti finiti a loro volta importati in una fase precedente della catena del valore. Di conseguenza, i benefici di prezzo per le esportazioni derivanti da una riduzione del tasso di cambio sono in una certa misura, se non quasi completamente, controbilanciati dall'aumento del costo delle importazioni" aggiunge.

"La buona notizia - aggiunge Brian Hess, global markets fixed income strategist, full discretion team di Loomis, Sayles & Company - è che molte divise dei paesi emergenti sono piuttosto sottovalutate rispetto al fair value di lungo termine. Ciò potrebbe contribuire a sostenerne la competitività in termini di esportazioni, nonostante il calo delle monete di altre grandi economie orientate all'esportazione come la Germania, il Giappone e la Cina, dove la svalutazione della moneta è generalmente meno grave. L'altra variabile chiave è il rafforzamento della crescita a livello mondiale".

Gran parte degli interventi sul mercato valutario messi in atto quest'estate dai paesi emergenti era relativamente ben giustificata, secondo gli esperti dell'asset manager francese. "Un'eccezione in tal senso è costituita dal peso messicano, spesso utilizzato come proxy per valute di altre mercati emergenti, con la tendenza quindi ad amplificare i propri movimenti" sottolinea Brigitte Le Bris, head of emerging markets and currency di Natixis Asset Management.

"I tassi di cambio sui mercati emergenti - conclude - sono sotto pressione e probabilmente vi rimarranno fino a quando non vedremo segnali di una crescita economica globale più sostenuta. Sul fronte opposto, le valute dei G3 dovrebbero continuare ad essere ben sostenute. Naturalmente, la decisione della Fed di non aumentare i tassi a settembre ha portato un po' di sollievo. Ma ha anche portato incertezza, il che ha leggermente indebolito il dollaro statunitense. Fino a quando gli Stati Uniti continueranno ad essere l’economia più robusta al mondo, il dollaro dovrebbe restare forte". 

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