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3/29/2016 | Ric Thomas*
Molti gestori di portafoglio hanno storicamente incentrato la loro politica di investimento su mercati ponderati in base alla capitalizzazione, utilizzando ad esempio una struttura 60/40 di fondi indicizzati suddivisa tra azioni e reddito fisso, e passando il tempo a ricercare gestori attivi in grado di sovraperformare i benchmark ponderati in base alla capitalizzazione. Quando riuscivano a trovare promettenti fonti di alfa, integravano il portafoglio core ponderato in base alla capitalizzazione con esposizioni aggiuntive attive. Il mix complessivo 60/40 però rimaneva fisso, senza preoccuparsi troppo di modificarlo.
In un recente articolo “The New Policy ‘Policy’”, abbiamo messo in evidenza il modo in cui tale approccio è da considerare superato, in particolare in uno scenario caratterizzato da rendimenti più bassi. A seguito di tali tensioni, molti investitori hanno incrementato la lista di gestori attivi a cui fare ricorso. Tuttavia le decisioni prese da più gestori attivi possono potenzialmente annullarsi a vicenda, mentre i costi restano invariati. In questo modo l'investitore può ritrovarsi con l'equivalente funzionale di un fondo indicizzato molto costoso.
Ciò può verificarsi persino nei piani di investimento in cui i gestori sottostanti costruiscono portafogli concentrati su pochi titoli selezionati. Prendiamo il caso di un detentore di un numero ingente di investimenti che attribuisce capitale aggiuntivo ai gestori di small cap per beneficiare di quelle che considera opportunità di alfa nella gamma delle capitalizzazioni. Il piano di investimento risulterà sovraponderato al fattore di rischio small cap, con un livello di rischio idiosincratico ridotto. Questo accade perché l'unione di tutti i portafogli dei gestori di small cap dà come risultato finale un portafoglio ben diversificato contenente quasi lo stesso elevato numero di titoli del benchmark.
Rischio sistematico non voluto
L'investitore ha iniziato con l'obiettivo di aumentare il rischio idiosincratico, ma finisce per ritrovarsi con un rischio sistematico e non necessariamente del tipo che avrebbe scelto volontariamente. Da questo punto di vista, almeno nel caso della seconda strada possibile, gli investitori effettuano una scelta più consapevole.
Quando gli investitori istituzionali diminuiscono l'esposizione agli attivi più rischiosi stanno, in un certo senso, individuando la "bassa volatilità" come il fattore di rischio maggiormente in linea con i loro obiettivi e privilegiando un flusso di rendimenti più contenuto e meno volatile anche se ciò significa una crescita minore.
Fare un passo in più
Invitiamo tuttavia gli investitori a fare un passo in più. Perché non ripensare l'intera struttura 60/40 in termini di tutti i fattori di rischio a cui si vuole, o non vuole, essere esposti? In base al nostro approccio, l'asset allocation basata sui fattori di rischio si compone di due fasi:
1) Individuare i rischi sistematici non voluti e investire in classi di attivo che neutralizzano tali rischi
2) Individuare il premi al rischio sistematici sul mercato e investire in classi di attivo che traggono vantaggio da tali premi.
In entrambi i casi l'investitore alla fine investe comunque in classi di attivo ma in questo modo orienta la propria esposizione verso i fattori di rischio più appetibili. L'attenzione si sposta dalla scelta di gestori esterni, il cui compito è di aggiungere valore in base a un indice ponderato per la capitalizzazione, verso la scelta diretta dei fattori che riducono il rischio e incrementano i rendimenti.
Funzionamento
Il pontenziale impatto di questo approccio è dimostrato al meglio con un esempio. Per semplicità ci focalizziamo su due fattori di rischio chiave che agiscono a livello aggregato: il beta azionario, o una misura del rischio derivante dai movimenti generali del mercato, e la duration del reddito fisso, che cattura la sensibilità del prezzo di un'obbligazione (in anni) alle oscillazioni dei tassi di interesse.
Si considerino i due portafogli sottostanti. Il vecchio portafoglio costruisce l'allocazione sulla base di un indice ponderato per la capitalizzazione, mentre il nuovo portafoglio si concentra direttamente sul beta azionario e sulla duration. Il vecchio portafoglio utilizza come benchmark per il reddito fisso il Barclays Global Aggregate Bond Index, la cui duration effettiva era del 5,4 al 30 settembre 2015. Data l'allocazione del 25% del portafoglio in strumenti obbligazionari, la duration del portafoglio è pari a 1,35. Il beta azionario del portafoglio è 0,5, il che corrisponde semplicemente alla percentuale di allocazione azionaria moltiplicata per un beta pari a 1, derivante dall'esposizione a tutta la gamma di rischio azionario sul mercato.
Risultati
Il nuovo portafoglio aumenta la duration in modo da beneficiare dei rendimenti ancora relativamente solidi offerti dal segmento più lungo della curva dei rendimenti USA e dal fatto che i tassi a lunga scadenza non dovrebbero aumentare così velocemente come i tassi a breve termine in caso di rialzo dei tassi.
Per ottenere questo risultato il portafoglio passerà dall’indice Global Aggregate all’investimento in Treasury a lunga scadenza, “strip” (obbligazioni senza cedola, con separazione del capitale e degli interessi venduti separatamente, solitamente sotto la pari e che a scadenza normalmente vengono rimborsate alla pari) e obbligazioni societarie di alta qualità e a duration lunga.
Al fine di mantenere la duration totale costante, tuttavia, l'allocazione al reddito fisso viene dimezzata. Il capitale in eccesso è inserito in una strategia azionaria a volatilità minima, accompagnata da ulteriori scostamenti dall'indice ponderato in base alla capitalizzazione. Il risultato è un nuovo beta azionario inferiore a quello di mercato, pari a 0,8. Poiché l'allocazione azionaria è aumentata, il beta del portafoglio resta costante a 0,5.
Efficienza e controllo
Il nuovo portafoglio è strutturato in un modo più efficiente dal punto di vista del capitale. Ha la stessa duration totale e lo stesso beta di prima, ma l'allocazione del capitale in attivi di tipo growth è aumentata, mentre è diminuita quella in attivi a copertura. Ciò significa che il rendimento atteso del portafoglio aumenta nel lungo periodo, anche se il rischio atteso resta costante. La componente obbligazionaria inoltre ha una sensibilità inferiore ai tassi di interesse, dato il suo posizionamento sul segmento più lungo della curva. Analogamente, il portafoglio azionario è ora focalizzato su titoli con beta più basso, con performance storiche superiori al mercato azionario.
Quale dei due portafogli è da preferire?
* Global Head of Strategy and Research for SSGA's Investment Solutions Group (ISG), SSGA
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