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Referendum: perché un "no" non sarebbe un male per i mercati

11/30/2016

Piazza Affari e Btp già stanno scontando un esito negativo. La vittoria di chi si oppone alla riforma costituzionale non è detto che porti alle dimissioni di Renzi o a nuove elezioni


Il consensus tra gli analisti delle case di gestione è quasi unanime e sembra allineato al titolo a caratteri cubitali comparso in prima pagina sul Financial Times di lunedì: il no al referendum costituzionale del 4 dicembre è un male per i mercati e potrebbe portare al fallimento di otto banche italiane. La consultazione popolare è, al di là del suo significato diretto, un “sì” o un “no” sul premier Matteo Renzi stesso. Ciò è stato ampiamente preso in considerazione dai mercati finanziari e, in particolare, dai mercati obbligazionari che già stanno scontando un esito negativo: lo spread tra rendimenti dei titoli sovrani italiani e quelli tedeschi ha toccato un minimo di 100 punti base nel marzo 2016, ma da allora ha allargato in modo significativo di 90bp a causa del "no" che predomina nei sondaggi.

Ma siamo sicuri che la vittoria di chi si oppone alla riforma costituzionale sia davvero una catastrofe? Alcuni gestori si discostano dall'opinione dominante. “Non è sicuro che un 'no' porterà alle dimissioni di Renzi, questo dipenderà dalla portata del risultato. Ma anche se Matteo Renzi sarà costretto a dimettersi, riteniamo improbabile vedere nuove elezioni, quanto piuttosto l'arrivo di un’amministrazione ad interim tecnocratica fino al 2018, quando sono programmate le nuove elezioni. Questo dovrebbe portare a un periodo di intensa instabilità politica e il 'no' è già stato scontato nei prezzi delle attività a rischio. Al momento non abbiamo esposizione verso l'Italia, ma abbiamo intenzione di cambiare la situazione se il 'no' dovesse vincere” spiega Eliezer Ben Zimra, fund manager asset allocation and sovereign debt manager di Edmond de Rothschild Fund Bond Allocation di Edmond de Rothschild Asset Management. Zimra ricorda inoltre che un altro importante evento dista solo quattro giorni dal referendum: la riunione della Bce, che quasi certamente estenderà il suo programma di acquisto del debito che dovrebbe sostenere i finanziari.

Considerando i vari scenari che si aprono con la consultazione referendaria, per Céline Renucci, economista area euro di AXA Investment Managers, lo scenario più probabile (55%) è che vinca il No, ma senza giungere a una crisi politica. “Ci aspettiamo che Renzi resti al suo posto, oppure che la coalizione attuale formi rapidamente un nuovo governo. Questo risultato rallenterebbe drasticamente le riforme” spiega. In questo caso, dovremmo assistere a un nuovo ampliamento degli spread (+20 punti base rispetto al Bund), ma in misura limitata dato che l’impatto dovrebbe essere già stato scontato dai mercati. Questi sviluppi graverebbero anche sui finanziari, in uno scenario in cui gli spread si sono già ampliati e il sistema bancario italiano resta estremamente fragile. Nel caso in cui i "no" prevalgano ma non in modo schiacciante i "sì", le opzioni in mano a Mattarella sono sostanzialmente due: un governo tecnico o un nuovo governo con a capo Padoan o Calenda. Una vittoria schiacciante dei "no" (probabilità 25%, secondo AXA IM), con la rottura della coalizione che intensificherebbe l’incertezza politica, porterebbe invece a un forte ampliamento degli spread (+150 punti base rispetto ai Bund) e a un ulteriore deterioramento della situazione delle banche italiane.

Quanto all’azionario, se il risultato referendario favorisse l’instabilità politica, si potrebbe assistere a una fase di volatilità di breve periodo, che graverebbe in particolare sulle azioni bancarie italiane. “L’impatto sarebbe invece probabilmente più modesto su altri settori dell’indice italiano. La volatilità potrebbe, quindi, creare opportunità per gli investitori focalizzati sulla selezione delle azioni con le migliori prospettive di apprezzamento futuro” aggiunge Alberto Chiandetti, gestore di FF Italy Fund di Fidelity International, che ha assunto una posizione di sottopeso complessiva sulle azioni finanziarie italiane. “Siamo particolarmente prudenti su alcuni dei titoli più grandi, poiché il loro fabbisogno di capitale e i rischi collegati al referendum sminuiscono l'attrattiva di queste opportunità d'investimento. Nell'ambito dei finanziari, preferiamo mantenere un'esposizione solo a banche con ritorni sul capitale sani e alle società di gestione del risparmio” prosegue Chiandetti.



Anche Vontobel Asset Management ritiene che il mercato sia troppo negativo sull’Italia e che le preoccupazioni siano esagerate. “Siamo sovrapesati sui bond italiani e in particolare ci piace il settore bancario. Siamo esposti sulle banche ben gestite come Intesa e UniCredit e riteniamo il recente andamento negativo rispetto al settore ingiustificato e anzi sta creando occasioni di acquisto. Nel caso di un sell-off a seguito della vittoria del no, crediamo che resterà limitato almeno fino al probabile annuncio della Bce di ulteriori stimoli” scrive in una nota Daniel Karnauss di Vontobel Asset Management.

Altri gestori stanno esaminando i possibili scenari e valutando le società che potrebbero beneficiare o essere svantaggiate da un aumento del populismo politico. “Di frequente, le case farmaceutiche rappresentano un facile bersaglio. Il carico fiscale delle multinazionali è un’altra area che tengo sotto osservazione. Le autorità fiscali europee stanno spingendo l’acceleratore in maniera aggressiva sulla riscossione delle imposte da diverse società operanti negli Stati membri dell’Unione Europea, con Apple, Starbucks e una divisione di Fiat Chrysler Automobiles che figurano tra gli obiettivi più recenti” spiega Nicholas J. Grace gestore di portafoglio del fondo Capital Group New World Fund (LUX) di Capital Group secondo cui il settore bancario e quello dell’acciaio, dopo le deludenti performance degli ultimi periodi, potrebbero beneficiare di eventuali cambiamenti di politica.

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