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Equilibri economici 2.0: e se cade la Cina?

9/16/2017 | Gloria Grigolon

Quattro dei sei principali metalli industriali vede nel Dragone il primo produttore. Oltre mille miliardi di dollari di debito americano sono nelle mani di Pechino. Se il Gigante asiatico dovesse fermarsi, cosa accadrebbe al resto del mondo?


Un quinto della popolazione mondiale vive all’interno dei confini cinesi. Quattro dei sei principali metalli industriali sfruttati nel mondo vede nel Dragone il primo produttore. Oltre mille miliardi di dollari di debito americano sono nelle mani di Pechino. Se la Cina dovesse fermarsi, cosa accadrebbe al resto del mondo? A fornire qualche informazione sul tema sono alcuni dei maggiori Asset Manager della piazza finanziaria, intervenuti su Advisor Professional.

 

Cresce l’attesa per il 19° Congresso del partito comunista cinese. Il 18 ottobre il Presidente Xi Jinping interverrà nella capitale per anticipare le linee guida del prossimo quinquennio, dopo la nomina a Segretario generale avvenuta nel 2012. Durante il primo mandato Xi ha puntato ad accentrare la leadership su di sé, attaccando le fazioni opposte al partito attraverso una dura campagna anti corruzione, politica necessaria per poter avanzare riforme economiche.

 

I recenti sforzi della banca centrale per stabilizzare il renminbi e dare regole più ferree al mercato del credito (e ad un sistema finanziario fortemente liquido e non tracciato), hanno limitato il deflusso di capitali verso l’estero, rinfrancando la fiducia di una piazza convinta che la Cina fosse prossima ala fine. Osservando infatti la situazione attraverso parametri occidentali, hanno fatto notare da UBS Asset Management, pare che ad ogni segnale di rallentamento cinese i mercati tendano a concludere che l’economia del Dragone stia per “esplodere”. In effetti, la decelerazione registrata nel II semestre dell’anno avrà ripercussioni certe sull’economia locale, ma ne avrà di più ampia portata sul resto del mondo: la Cina, tra i primi produttori di materie prime (tra cui alluminio, piombo, stagno e zinco), agisce sia sul lato dell’offerta, che su quello della domanda; un calo delle valutazioni di base contribuirebbe ad un calo generalizzato del prezzo dei prodotti e, dunque, dell’inflazione.

 

Le economie emergenti rappresentano oggi (dati FMI) oltre il 57% del PIL mondiale, a parità di potere d’acquisto. La sola Cina, precisano da Goldman Sachs Asset Management, contiene all’interno dei propri confini circa un quinto della popolazione mondiale, dato demografico tenuto strettamente sotto il controllo statale. Se in un passato recente tali mercati erano associati unicamente alla produzione e lavorazione di metalli e risorse naturali (tra cui petrolio e prodotti agricoli), l’evoluzione imprenditoriale, finanziaria e contabile ha accreditato le realtà societarie locali su larga scala, spingendo il Paese, come sottolineato da Janus Henderson Investors, ad affacciarsi all’estero. Nell’intento di aprire la piazza finanziaria cinese ai capitali stranieri, l'operazione Hong Kong Shanghai Connect ha permesso al denaro di transare più liberamente tra i due mercati azionari di riferimento. I principali provider di servizi finanziari (tra cui l’MSCI Emerging Markets), hanno inoltre evidenziato da Capital Group, hanno iniziato ad includere il mercato delle A-share cinesi nei principali indici legati ai mercati emergenti.

 

In un clima di crescita superiore al resto del mondo, l’economia cinese ha stupito per la capacità innovativa delle aziende che in essa operano: Shenzhen, seconda piazza finanziaria dopo Shanghai, è stata definita la Silicon Valley cinese, ove trovano sede i due colossi Tencent e Huawei e la multinazionale americana Cisco, che ha visto in Cina terreno fertile per espandersi. Questo, rilevano da Legg Mason, nonostante l’America sia tra le prime  a vessare con dazi e sanzioni il commercio asiatico, specie quello col Dragone. Secondo gli esperti di Carmignac, sarebbero proprio gli Stati Uniti a sostenere l’economia cinese, erodendo la propria leadership globale ed offrendo all’Europa e alla Cina l’occasione per scalzarla a loro vantaggio. L’andamento calante della valuta statunitense e la stabilizzazione di quella cinese riflettere in parte l’inizio di un cambiamento dei riferimenti economici mondiali.

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