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7/30/2018 | Greta Bisello
Il dibattito circa la penetrazione delle nuove tecnologie sulla quotidianità lavorativa e personale degli uomini è di estrema attualità, la percezione e quindi il timore rimane quella di una sostituzione pressoché totale. Ma è davvero così?
Da questa curiosità è partita l'analisi di Luca Tobagi (nella foto), CFA Investment Strategist di Invesco, che mette in campo due ipotesi per spiegare i dati raccolti in favore di una creazione di occupazione da parte dei robot. "La prima è che la tecnologia abbia un impatto positivo sulla produttività, in particolare del lavoro più costoso e a più alto valore aggiunto, rispetto a quello che crea un minore valore aggiunto. La seconda è che la tecnologia e i robot possano sostituire il lavoro laddove c’è carenza di offerta. In un esempio banale: non si riescono a trovare tutti gli operai specializzati che servirebbero in Giappone? Li sostituiamo con un robot. Ma “sostituiamo” quelli che vorremmo assumere e mancano, non eliminiamo chi già lavora".
Non soltanto un dato che tranquillizza ma che inoltre risulta essere compatibile con un’evidenza empirica che da tempo sfida la consolidata relazione fra inflazione e disoccupazione della famosa curva di Phillips, in base alla quale la riduzione del tasso di disoccupazione spinge al rialzo l’inflazione. L'esperto afferma che: "In alcuni Paesi ormai il tasso di disoccupazione ha raggiunto livelli molto bassi, mentre l’inflazione, riportata faticosamente in territorio positivo con le manovre non convenzionali delle Banche Centrali, non raggiunge gli obiettivi di politica monetaria". Non è da escludere che aver aumentato la produttività del lavoro, in particolare quello più costoso in termini di salario, questo possa aver contribuito a tenere a freno la dinamica dei prezzi.
Sul tema disoccupazione e inflazione, nell'edizione estiva T con Zero, prosegue Tobagi: "Innanzitutto, se la disoccupazione non fosse destinata ad aumentare per effetto della tecnologia, la traiettoria dei consumi, elemento preponderante nella composizione del PIL dei Paesi più avanzati, avrebbe un problema in meno da fronteggiare, con ripercussioni positive per la crescita economica".
E conclude: "In secondo luogo, se l’inflazione rimanesse su livelli moderati ancora a lungo, le Banche Centrali avrebbero meno pressioni ad agire per restringere le proprie politiche monetarie accomodanti. Dato il ruolo cruciale che esse hanno svolto negli ultimi anni, gli investitori pensano a come posizionarsi in una fase di normalizzazione, ed è facile comprendere l’importanza dell’eventualità, che ritengo inattesa dal consenso, di un’azione più morbida delle aspettative in un contesto benigno, e non a causa di nuove difficoltà".
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