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S&P Global Ratings: nessun rischio recessione nel 2019

1/14/2019 | Eugenio Montesano

Sanna, director financial institution della società di rating: “Quadro in miglioramento, ma crescita anemica e alto costo funding rimangono nodi da sciogliere per le banche italiane, ancora zavorrate dagli NPL”.


“Per l’Italia ci attendiamo una crescita al ritmo dello 0,7% nel 2019 e dello 0,9% nel 2020, con consumi stabili ma prospettive più basse, soprattutto rispetto agli altri paesi europei, per quanto riguarda gli investimenti”. Lo sottolinea Sylvain Broyer, capoeconomista per l’Europa di S&P Global Ratings in un incontro con la stampa.

 

Broyer definisce “ottimistiche” le stime ufficiali del governo per l’anno in corso (+1%). Per l’economia italiana “rimane comunque un trend di crescita”, afferma l’esperto, “pur nel contesto di un rallentamento per l’intera congiuntura europea a causa di fattori che si ritiene siamo principalmente di natura temporanea, come la frenata del comparto auto dopo l’introduzione dei nuovi test per rilevare i gas di scarico”.

 

L’economia dell’eurozona, aggiunge Broyer, è avviata verso un anno di crescita più bassa e normalizzata, in cui continuerà a beneficiare della politica della Bce che resterà fortemente accomodante.

 

Il capoeconomista vede un aumento dei tassi sui depositi overnight a settembre, quando dovrebbero passare dall’attuale -0,40% a 0%, mentre il primo aumento dei tassi principali (MRO – Main Refinancing Operations) dovrebbe arrivare a dicembre con un intervento di 25 punti base che li porterà alla neutralità. “La normalizzazione della politica monetaria della Bce sarà molto graduale: prevediamo che i tassi principali raggiungeranno la soglia dello 0,75% solo entro fine 2020”, precisa Broyer.

 

Ciò detto, la previsione per il pil dell’eurozona di S&P Global Ratings è di +1,6% sia quest’anno (più bassa delle stime ufficiali e di consenso dell’1,9%) che il prossimo. “Usando una metafora”, spiega Broyer, “non sta arrivando l’inverno ma l’autunno – ossia una fase discendente del ciclo – ma siamo ancora lontani, nello scenario base, da una recessione e anche da una stagnazione a meno che i fattori temporanei che hanno pesato sulla produzione nei mesi scorsi si rivelino permanenti”.

 

A tal proposito, non giungono segnali positivi dalle ultime rilevazioni Eurostat sulla produzione industriale a novembre, in calo dell’1,7% rispetto a ottobre nella zona euro, e in calo dell’1,3% nella Ue a 28 membri. A ottobre era aumentata di 0,1% in entrambe le aree. 

 

Su base annuale è crollata del 3,3% nell’area euro e del 2,2% nella Ue-28. Il calo più ampio si registra in Irlanda (-7,5%), Portogallo (-2,5%), Germania e Lituania (-1,9%). Mentre in Italia l’istituto europeo di statistica conferma il calo di 1,6%, dato già pubblicato dall’Istat lo scorso venerdì.

 

Banche: crescita e funding, nodi da sciogliere

Quali implicazioni avrà per le banche italiane il rallentamento della crescita del paese a 0,7%? Secondo Mirko Sanna, director financial institution della società di rating, quel livello di crescita “è ancora sufficiente a procedere con il recupero e il miglioramento della qualità del credito”, e basterà a tenere sotto controllo gli NPL, i crediti deteriorati, i cui livelli “rimangono elevati”. Con la differenza che, rispetto alla crisi, le banche hanno migliorato i fondamentali attraverso la dismissione di molti crediti problematici (lo stock è diminuito dai 338 miliardi del 2015 ai 208 del 2018), l’aumento degli accantonamenti e il miglioramento della redditività, col risultato che la loro la resilienza è aumentata notevolmente.

 

Ciononostante, i tempi di recupero degli NPL da parte delle banche italiane rimangono più elevati della media UE, e seppure lo stock di crediti incagliati è dato in ulteriore calo nei prossimi 18 mesi – fino a raggiungere una media del 10% sul totale degli impieghi – questo valore rimane pur sempre il doppio della media UE, costringendo le banche italiane ad accantonamenti più rapidi e ingenti rispetto ai peer europei, spiega Sanna.

 

Oltretutto, aggiunge lo specialista, il costo del funding bancario è aumentato. “Le operazioni straordinarie della Bce come il QE e il TLTRO hanno mitigato i problemi di accesso al mercato dei capitali”, spiega Sanna. Allo stesso tempo, l’attesa normalizzazione della politica monetaria dell’eurotower – per quanto graduale – e i sommovimenti dello spread cominciati dopo le elezioni politiche di aprile, hanno determinato un aumento dei costi di finanziamento.

 

“Le banche italiane sono molto esposte ai titoli di Stato e oggi emettono obbligazioni a costi molto più elevati, slegati dal merito di credito” osserva Sanna. Questo, assieme alle incognite sul destino dei 250 miliardi di esposizione che la Bce possiede verso le banche italiane, rappresenta “un fattore di rischio anche in chiave redditività – già sotto la media europea – che potrebbe incidere sui rating degli istituti di credito”, precisa lo specialista.

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