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2/25/2019 | Redazione Advisor
"I fondamentali macroeconomici nei mercati emergenti sono, a nostro giudizio, robusti. All’inizio del 2018 la bilancia commerciale di tali mercati ha iniziato a entrare in deficit e, quando i flussi di capitale in ingresso hanno rallentato, le riserve in valuta estera hanno incominciato a diminuire mettendo sotto pressione le loro monete" afferma Mike Biggs, investment manager delle strategie obbligazionarie local emerging market di GAM Investments.
Nel secondo semestre del 2018 è iniziata una fase di correzione per i mercati emergenti, a partire da Paesi come Argentina e Turchia. La bilancia commerciale è tornata in equilibrio e in questo momento si trova intorno allo zero.
Secondo l'esperto infatti "I flussi di capitale si sono stabilizzati, le riserve in valuta estera nei mercati emergenti hanno ricominciato ad accumularsi e abbiamo assistito all’apprezzamento di queste valute. Il rallentamento dei flussi in ingresso a metà del 2018 ha due implicazioni per tali mercati. Da una parte, gli afflussi sono correlati all’attività di credito interna e, a nostro giudizio, hanno probabilmente contribuito a frenare la crescita del credito nel secondo semestre. L’impulso di credito negativo alimenta i rischi di ribasso per la crescita del Pil nel 4° e nel 1° trimestre".
"D’altra parte - Biggs -, prosegue il livello attuale dei flussi di capitale diretti verso gli emergenti è relativamente basso e, di conseguenza, è più probabile che tali afflussi aumentino anziché diminuire rispetto ai livelli attuali. Un aumento dei flussi in ingresso alimenterebbe la liquidità interna, sosterrebbe la crescita del credito, riporterebbe l’impulso di credito in territorio positivo, favorendo anche la crescita del Pil reale. Probabilmente aumenterebbero anche le riserve in valuta estera".
In conclusione quindi, il principale fattore trainante del debito dei mercati emergenti in valuta locale nel breve periodo è il dollaro USA. A sua volta questo dipende, almeno in parte, dai tassi di crescita relativa negli Stati Uniti rispetto al resto del mondo. "Nel 2018 la crescita USA ha toccato il 3,0% rispetto all’anno precedente ma nel 2019, quando verranno meno gli effetti degli stimoli fiscali, dovrebbe rallentare verso il 2,0%. Non prevediamo una recessione negli Stati Uniti, tuttavia ci aspettiamo che il rallentamento della crescita freni eventuali ulteriori rialzi dei tassi di interesse. Con l’inflazione complessiva e PCE core inferiori al 2% e il petrolio lontano dai valori massimi, il rallentamento della crescita negli USA dovrebbe contenere nuovi rialzi dei tassi" conclude l'esperto.
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