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Guerra commerciale, scarso impatto sulla crescita mondiale

5/7/2019 | Daniele Riosa

Desai (Franklin Templeton): “Lo scorso anno la crescita globale si è mantenuta stabile al 3,7%, su posizioni invariate rispetto al 2017”


La prospettiva di una ‘guerra commerciale’ tra Stati Uniti e Cina ha causato una certa apprensione tra gli investitori lo scorso anno. Ma le paure di ripercussioni economiche di questa ‘guerra’ sono giustificate? E vi è stata mai davvero una guerra? Sonal Desai, cio di Franklin Templeton Fixed Income, risponde a queste domande dirimenti. 

“Le guerre commerciali globali – argomenta l’analista - sono come il cane che non ha abbaiato. A mio avviso, vi sono tre ragioni. Le guerre si sono rivelate schermaglie limitate; il libero scambio non è mai stato veramente libero di cominciare e soprattutto l’elasticità della crescita globale in rapporto al commercio globale ha subito un cambiamento strutturale. Ciò ha due importanti implicazioni per gli investitori finanziari, su cui intendo riflettere alla fine dei conti: (1) la crescita globale sorprenderà probabilmente in positivo e con essa i rendimenti obbligazionari; e (2) la reale azione è a livello di società, settori e Paesi specifici, il che rende la selezione dei titoli in portafoglio più importante che mai”.

Per l’esperto le voci sulla fine del commercio globale sono state ampiamente esagerate. “Nel 2018, il commercio globale ha in effetti subito un rallentamento, che però è in gran parte riconducibile all’assorbimento del fortissimo andamento evidenziato nel 2017, quando era stata registrata un’espansione del 4,7%, oltre il triplo rispetto all’anno precedente. Il ritmo del 3,3% dello scorso anno si rapporta ancora favorevolmente con la media del 2,0% del periodo 2012–2016. Il commercio globale è ulteriormente rallentato alla fine dello scorso anno: la media mobile a tre mesi si è aggirata intorno al 5% per gran parte del 2017, per poi scendere di un punto a circa il 4% nel secondo e terzo trimestre del 2018 e fermarsi a gennaio 2019. Questo elemento deve essere esaminato attentamente, ma prima di lasciarci prendere dal panico dobbiamo ricordare che nell’attuale decennio prima di questa abbiamo già assistito a due decelerazioni significative del commercio globale (2015–2016 e 2011–2012), entrambe seguite da discreti rimbalzi degli scambi commerciali. Ma soprattutto, sottolineiamo che lo scorso anno la crescita globale si è mantenuta stabile al 3,7%, su posizioni invariate rispetto al 2017, nonostante la decelerazione del commercio globale. Né le paure di guerre commerciali né l’effettivo rallentamento dei flussi commerciali sono stati abbastanza gravi da frenare l’attività economica globale”.

L’impatto limitato esercitato dalle tensioni commerciali globali sulla crescita globale è spiegato da tre ragioni. “La prima è la mancata concretizzazione dello spettro di una guerra totale con una diffusione incontrollata di misure protezionistiche, costantemente evocato da esperti e stampa. Anche le trattative bilaterali più difficili continuano a essere sottolineate da azioni mirate e calibrate, non una vendicativa escalation di dazi. Perché? Almeno in parte perché gli Stati Uniti hanno ragione su un aspetto: quasi chiunque applica dazi più elevati; persino l’Unione Europea (UE) impone dazi sulle importazioni mediamente superiori del 50% a quelli statunitensi (5,1% rispetto a 3,4%)”.

Inoltre “i Paesi con cui gli Stati Uniti hanno le trattative più controverse applicano tutti dazi significativamente più elevati di quelli statunitensi. Indubbiamente, gli Stati Uniti potrebbero gestire tutto con maggiore tatto, ma la ragione per cui gli altri Paesi non reagiscono in modo palesemente vendicativo è che ne sono consapevoli e hanno molto più da perdere nel caso di una escalation. L’impatto sul commercio globale è stato pertanto limitato e prevedo che nei prossimi mesi emergerà una stabilizzazione dei flussi commerciali globali, dopo la recente decelerazione".

La seconda ragione è che “le imprese non si sono lasciate prendere dal panico. Il timore era che l’incertezza provocata dalle crescenti tensioni commerciali inducesse le imprese a bloccare i piani d’investimento. Ora, sebbene segnali aneddotici indichino che i responsabili societari sono preoccupati per le tensioni commerciali, i dati dimostrano che gli investimenti hanno registrato una robusta accelerazione nel 2017 e 2018: gli investimenti interni privati lordi sono infatti saliti dal 17,0% del prodotto interno lordo (PIL) alla fine del 2016 al 17,4% alla fine del 2017 e al 18,1% alla fine del 2018. Pur lamentandosi, molte imprese sembrano aver considerato le notizie con un approccio razionale e la loro fiducia in una ripresa globale ampiamente diffusa ha finora superato le preoccupazioni per le tensioni commerciali. Gli economisti sembrano a loro volta avere sottovalutato la capacità delle società di adattarsi alle limitate perturbazioni della catena di fornitura finora osservate. Ribadiamo inoltre che il libero scambio in effetti non è mai stato molto libero. Come abbiamo osservato sopra, vari paesi impongono dazi significativi. E nell’ultimo decennio è già stato registrato un insidioso aumento del protezionismo sotto forma di requisiti di localizzazione forzosa nei mercati emergenti (ME) e altre barriere non tariffarie. Molte imprese hanno già imparato ad adattarsi”. 

La terza ragione, “più importante di tutte, è che l’elasticità o sensibilità della crescita globale ai cambiamenti nel commercio globale è notevolmente diminuita negli ultimi 10 anni. Nei quindici anni precedenti la crisi finanziaria globale, il commercio globale ha registrato un’espansione doppia rispetto a quella del PIL globale. Negli ultimi 10 anni, il ritmo di crescita del commercio globale è stato di un quinto inferiore a quello del PIL globale. L’economia globale ha continuato tuttavia a crescere mediamente allo stesso ritmo evidenziato nella fase del boom del commercio globale. Il commercio globale svolge ancora un ruolo essenziale, ma il modesto ritmo attuale di crescita degli scambi commerciali globali è congruente con una robusta crescita del PIL globale. In altre parole, le guerre dei dazi che preoccupano molti si concentrano su settori industriali tradizionali, mentre il commercio continua a orientarsi verso nuovi settori dell’economia. Ciò potrebbe spiegare perché l’impatto delle controversie commerciali locali rimanga limitato”.

“Per gli investitori – conclude Desai - vi sono due elementi chiave da ricordare. Il primo è che la crescita globale sorprenderà probabilmente in positivo perché le paure per il commercio rimangono esagerate. A sua volta, ciò sosterrà una tendenza al rialzo dei rendimenti rispetto alle attese del mercato, benché i mercati scontino e riscontino gli interventi della Federal Reserve sul fronte dei tassi d’interesse. Il secondo è la reazione reale al micro-livello: sanzioni mirate incideranno su sacche del mondo societario, anche mediante deviazioni degli scambi commerciali”.

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