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I lati oscuri dell'economia americana

8/5/2019 | Redazione Advisor

Studiando i dati macroeconomici degli Stati Uniti si scoprono cose poco convincenti che rivelano uno stato di salute non così buono come dichiarato dall'amministrazione Trump.


Da un lato l'amministrazione Trump continua a sottolineare la forza della crescita e l'andamento della borsa come indicatori di solidità dell'economia, dall'altro fa pressioni sulla Banca Centrale per avviare uno stimolo monetario per sostenere il ciclo. Qual è la realtà? Prova a dare una risposta Maurizio Novelli, gestore del Lemanik Global Strategy Fund, nel suo ultimo report.

 

"La FED delude i mercati azionari ma sarà l'economia internazionale a creare i veri problemi nei mesi a venire. Il segnale di un nuovo trend di politiche monetarie espansive in America da parte della FED è solo stato rimandato e la Banca Centrale americana ha fatto capire che il vero stimolo monetario sarà erogato solo in condizioni di evidente difficoltà dell'economia. Al momento, secondo la FED, le difficoltà non sono ancora così evidenti e quindi il ribasso dei tassi è stato definito "un aggiustamento". Il problema è che ora le autorità monetarie, politiche e finanziarie degli Stati Uniti stanno inviando ai mercati segnali contraddittori da tutte le parti” spiega subito il gestore che, guardando i dati pubblicati sul PIL del 2° trimestre evidenzia che i profitti operativi della Corporate America hanno messo a segno il calo più significativo degli ultimi anni e che in generale tali profitti non sono cresciuti per niente negli ultimi 5 anni. 

 

Secondo l’analisi di Novelli i profitti operativi hanno toccato il loro picco nel 3° trimestre del 2014 e da allora hanno continuato a scendere o ristagnare, mentre l'indice SPX è salito di circa il 50% grazie prevalentemente ai buy back. Negli ultimi cinque anni le aziende quotate hanno speso circa 4 trilioni di dollari per acquistare le proprie azioni in borsa (circa il 20% del PIL degli Stati Uniti) e questo fenomeno è stato il principale driver del rialzo della borsa. Nei primi sei mesi del 2019 gli Stati Uniti hanno pubblicato dati di crescita del PIL sorprendentemente forti rispetto ai dati macro pubblicati mensilmente su produzione industriale, ordini di beni durevoli, consumi e investimenti. Anche i PMI sono tutti in netta discesa da quasi 12 mesi. Ma secondo l'amministrazione americana l'economia USA sarebbe cresciuta del 2,5% nel primo semestre, in un contesto di generale rallentamento globale e con una evidente crisi del commercio internazionale.

 

"Il trend di crescita non sembra così diverso da quello registrato nel 2018 e nel 2017 e non appare così allarmante da suscitare minacce di "licenziamento" di Powell da parte della Casa Bianca", spiega Novelli. "Tuttavia, studiando i dati nel dettaglio si scoprono cose poco convincenti".

 

In particolare, nel primo trimestre la crescita del PIL reale del 3,1% annualizzata è stata ottenuta con un'inflazione calcolata a 0,5%, sebbene sia noto che l'inflazione è a 1,8%. Questa sottostima dell'inflazione ha di fatto "gonfiato" il PIL reale di 1,3% nel primo trimestre. Il Bureau of Economic Analysis (BEA), l'ufficio federale che pubblica i dati, si è giustificato dicendo che il deflatore del PIL utilizzato per il calcolo proviene da diverse fonti e può differire dall'inflazione ufficiale. Il fatto è che i mercati dei bond e dei metalli preziosi hanno iniziato a prezzare da tempo cose molto diverse da quelle che sembrano scontare i mercati azionari americani. Nonostante l'amministrazione Trump continui a sbandierare la forza dell'economia e del mercato azionario, i tassi sui bond governativi di mezzo mondo hanno cominciato a scendere decisamente e in netto contrasto con la "forza dell'economia". Chi si occupa di macroeconomia non crede alla solidità della crescita USA già da tempo e sa benissimo che un eventuale stimolo monetario al picco del ciclo del credito non sarà in grado di imprimere una ripresa perché c'è già troppo debito nell'economia USA (sia privato che pubblico), e l'economia degli Stati Uniti cresce solo se riesce a fare debito. L'apparente solidità della crescita americana, rispetto al resto del mondo (Europa, Cina, Giappone e EM), sembra più dipendere dalle notizie relative all'andamento del mercato azionario che dalla realtà che si legge nell'economia reale.

 

Un altro punto piuttosto oscuro agli economisti riguarda la dinamica del mercato del lavoro degli Stati Uniti. In base ai calcoli effettivi sembra che i posti di lavoro siano sovrastimati di circa il 25%. Altro punto sul quale ci sono dubbi è inoltre la rilevazione dell'occupazione part time, che da sempre è una percentuale piuttosto importante del mercato del lavoro: se un lavoratore ha due posti part time nessuno lo può sapere e per l'ufficio del lavoro i posti di lavoro sono due ma l'occupato è uno solo.

 

"A questo punto la situazione può diventare molto critica per la credibilità delle autorità politiche, monetarie e finanziarie degli Stati Uniti se dovessimo fronteggiare una difficoltà dell'economia in modo inatteso” conclude Novelli. "Mentre si continua a sostenere uno scenario prospettico positivo si invoca l'intervento monetario espansivo. Anche la FED è ormai in totale confusione perché non riesce a capire come mai dovrebbe far scendere i tassi con l'economia che cresce al 2,5% e la disoccupazione ai minimi storici".

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