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L’Italia spaventa l’Eurozona e le banche arrancano

11/25/2019 | Daniele Riosa

Smillie (Columbia Threadneedle Inv): "Gli istituti di credito hanno bisogno di un'iniezione di capitale compresa tra i 30 e i 40 miliardi di euro, pari a circa il 2% del PIL"


“L’Italia è la nostra maggiore causa di apprensione nell'Eurozona. I problemi del Paese non si limitano all'elevato rapporto debito pubblico/PIL e al ristagno della sua economia, che dall'inizio del 2018 si trova sull'orlo della recessione”. Paul Smillie, analista senior degli investimenti, reddito fisso di Columbia Threadneedle Investments spiega che i “timori maggiori giungono dalle banche del Paese, che rimangono ampiamente sottocapitalizzate. In assenza di misure significative per sostenere il settore bancario, l'economia italiana sembra destinata a rimanere in stagnazione”.

“Questo perché – evidenzia l’esperto - in Italia e nell'Eurozona più in generale, le banche giocano un ruolo essenziale nel finanziare il settore privato. Al contrario, i mercati dei capitali svolgono una funzione più importante negli Stati Uniti, dove solo il 30% circa delle imprese si finanzia tramite prestiti bancari. Nell'area euro (e in Giappone) tale percentuale si aggira intorno al 75%. Come ha scoperto il Giappone a proprie spese, un settore bancario solido si è dimostrato fondamentale per ridare slancio al sistema economico".

"Questo - prosegue - vale anche per l'area euro. Inoltre, essendo l'Italia la terza economia dell'Eurozona, il suo benessere economico ha ramificazioni per l'intera area valutaria. In circostanze normali, quando le banche centrali riducono i tassi, i prenditori approfittano del minor costo del denaro per investire e spendere, esercitando così un'azione di stimolo sull'attività economica. Tuttavia, con un settore bancario debole questo canale di trasmissione non funziona. Per quanto le banche centrali come la BCE possano adottare un orientamento accomodante sui tassi, il meccanismo della politica monetaria si inceppa”.

Per questo, l’economista è convinto che in Italia ci sia la “necessità di una ricapitalizzazione diffusa anche se qualche progresso tuttavia è stato fatto. Nel 2017 la BCE ha promosso con successo la ricapitalizzazione di Monte dei Paschi, una delle maggiori banche italiane. Il governo ha inoltre istituito il ‘GACS’, un meccanismo di garanzia statale studiato per aiutare le banche a disfarsi dei crediti deteriorati. Ma con circa un quarto dei crediti deteriorati dell'Eurozona iscritti nei bilanci degli istituti italiani, resta ancora molto da fare”.

“Secondo le nostre stime - rileva - le banche del Bel Paese hanno bisogno di un'iniezione di capitale compresa tra i 30 e i 40 miliardi di euro, pari a circa il 2% del PIL. Un consolidamento transfrontaliero del sistema bancario sarebbe d'aiuto, ma permangono imponenti ostacoli politici alle fusioni. Senza una qualche forma di ricapitalizzazione del settore bancario italiano, le imprese del Paese saranno private dei capitali di cui hanno bisogno per crescere. Mentre il governo italiano ha disperatamente bisogno di una solida ripresa della crescita economica per alleviare l'elevato onere debitorio, pochi politici hanno piani convincenti per rivitalizzare l'economia o ridurre il deficit, che nelle previsioni dell'UE dovrebbe superare il 3,5% nel 2020".

Che cosa devono fare gli investitori? “Dovrebbero prepararsi a continui attriti tra Roma e Bruxelles, con la conseguente volatilità dei mercati azionari e obbligazionari italiani. Gli attesi tagli dei tassi e la ripresa degli acquisti di titoli da parte della BCE dovrebbero fornire sostegno ai mercati. Ciò nonostante, rimane il duplice problema sottostante dell'elevato debito pubblico e della sottocapitalizzazione delle banche. In assenza di misure concertate per sostenere gli istituti italiani, lo scenario più ottimistico per l'Italia è caratterizzato da una crescita economica sottotono riflessa da rendimenti azionari deludenti".

“Nel peggiore dei casi – conclude Smillie - si potrebbe registrare una crisi del mercato obbligazionario e dei finanziamenti che finirebbe per travolgere i mercati azionari e del debito dell'Eurozona. Con l'Italia che sembra assumere connotati giapponesi, questa rimane una preoccupante possibilità”.

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