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Tre considerazioni sul coronavirus

2/13/2020

Paul Donovan, chief economist di UBS Wealth Management, spiega perchè è difficile confrontare l'attuale emergenza con l'epidemia di SARS del 2003


Nel momento in cui si cerca di analizzare i rischi e il possibile impatto che l'epidemia di coronavirus scoppiata in Cina potranno avere sulla crescita globale viene quasi naturale effettuare un paragone con emergenze apparentemente simili del recente passato, come ad esempio l'emergenza sanitaria dovuta alla SARS, la sindrome respiratoria acuta, esplosa nel 2002-2003. La realtà però è che il mondo negli ultimi anni è cambiato in maniera molto profonda, e questo, secondo Paul Donovan, chief economist di UBS Global Wealth Management, rende estremamente difficile fare confronti. Secondo l'economista della società svizzera le considerazioni da fare sotto questo punto di vista sono essenzialmente tre.

 

Il primo tema ha a che fare con la paura. Da un punto di vista strettamente economico, non è il numero effettivo dei casi di contagio che conta, ma piuttosto quanto è elevata la percezione del pericolo del contagio stesso. Una importante differenza oggi rispetto al 2003 è la presenza (e la sempre maggiore pervasività) dei social media, che all'epoca nemmeno esistevano. Da Facebook a Twitter, i social network sono dei mezzi efficientissimi nel diffondere notizie che contribuiscono a creare il panico. Un'analisi economica effettuata su Twitter ad esempio ha mostrato che le fake news raggiungono il 70% di persone in più rispetto a una notizia vera. Come si spiega? Banalmente, perchè la verità risulta noiosa. Premesso che l'impatto economico dei social media è molto difficile da quantificare, secondo Donovan si può trarre qualche considerazione leggendo le analisi di Google Trends: dai dati emerge che, a differenza di aree come Hong Kong e Singapore, al momento in Europa e negli Stati Uniti la popolazione non sembra particolarmente spaventata e l'impatto sui consumi appare quindi limitato, anche se comunque la situazione va monitorata con attenzione.

 

Il secondo tema, secondo Donovan, è legato allo sviluppo e alla diffusione di internet, che sta favorendo modifiche radicali nelle abitudini di lavoro e di consumo, con la diffusione dello shopping on line e dello smart working. E' evidente che la presenza di questi cambiamenti strutturali limiterebbe i danni economici causati dalla diffusione su larga scala di un'epidemia, anche se la magnitudine sarebbe difficile da quantificare, perchè i dati economici strutturalmente intercettano questo tipo di disruption con grande ritardo. 

 

Il terzo elemento che rende problematico un paragone tra le due epidemie è infine legato al peso della Cina sulla produzione manifatturiera globale.  Nel 2003 la produzione cinese rappresentava l'11% di quella globale, mentre nel 2017, anno a cui risalgono gli ultimi dati, la quota del colosso asiatico era salita al 25%, una percentuale più che doppia rispetto al periodo della SARS. Nella filiera produttiva mondiale la Cina rappresenta oggi un anello centrale, che se si rompesse, causerebbe ricadute pesantissime su tutta la catena. L'elemento discriminante in questo ambito è rappresentato dal fattore tempo: la guerra commerciale ha evidenziato come per modificare una filiera produttiva siano necessari circa sei mesi, mentre per trasportare beni dalla Cina all'Europa o agli Stati Uniti ci vogliono circa sei settimane. Ciò significa che se si assistesse ad una chiusura delle fabbriche in Cina limitata a una, due o anche tre settimane, questo impatterebbe sicuramente sull'economia cinese ma non avrebbe un impatto immediato e forte sulla catena produttiva  e si dovrebbe riuscire a limitare i danni a livello globale. Chiaramente più a lungo si assisterà a disruption in Cina maggiore sarà l'impatto sul resto del mondo

 

La conclusione del capo economista di UBS Global Wealth Management è quindi che se un impatto del coronavirus sull'economia cinese è quantomeno inevitabile, per quanto riguarda l'impatto su Europa e Stati Uniti, al momento l'effetto appare limitato. Se però dovessimo assistere a una diffusione della paura tra i consumatori europei e americani, e soprattutto se la produzione cinese dovesse interrompersi per più di qualche settimana, le ricadute negative sull'economia mondiale saranno indubbiamente molto più grandi, anche se per poter fare una valutazione più accurata bisognerà attendere l'evolversi degli eventi.

 

 

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