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Petrolio, che cosa sta accadendo?

5/7/2020 | Peter Eerdmans*

L'head of fixed income di Ninety One compie un’analisi sul petrolio per capire chi saranno i vincitori ei i vinti di questa situazione


Le ultime settimane sono state un periodo senza precedenti per i mercati petroliferi, con il prezzo del greggio statunitense che è sceso sotto lo zero – seppur temporaneamente. In questo momento siamo probabilmente solo all’inizio di uno shock senza precedenti sul lato della domanda – l’Agenzia Internazionale per l’Energia (Aie) ha stimato per questo trimestre una riduzione di 23 milioni di barili al giorno (bpd) rispetto allo scorso anno. Tuttavia, grazie alla ripresa della domanda cinese e al ritorno alle attività produttive di Usa ed Europa dopo la fase di lockdown iniziale, la domanda di petrolio dovrebbe riprendersi, sebbene in modo graduale e irregolare. Questo processo potrebbe essere facilitato da un aumento delle riserve strategiche nazionali. Questo shock sul lato della domanda è stato seguito da una reazione anch’essa senza precedenti sul lato dell’offerta.

 

 

La riduzione dell’offerta

Per quanto riguarda le riduzioni volontarie, l’Opec+ ha concordato un taglio dell’offerta di greggio di circa 10 milioni di barili al giorno. Questo provvedimento del gruppo è inedito e di quattro volte superiore rispetto all’accordo originario. Ma forse ancora più importanti saranno i tagli involontari alla produzione, che è molto probabile che saranno ingenti quest’anno. Le stime settimanali condotte negli Usa indicano già un discostamento della produzione di 900mila barili al giorno rispetto al suo massimo, mentre l’Aie stima che il taglio della produzione non-Opec potrebbe superare la quota di 5 milioni di bpd entro la fine dell’anno e i recenti provvedimenti sui prezzi potrebbero solamente aggravare la situazione. Un buon numero di produttori ad alto costo sono a rischio; soprattutto il settore dello shale negli Stati Uniti e il Canada, nel novero dei mercati sviluppati. In particolare, il costo marginale medio a barile in Canada è di 25 dollari e il segretario dell’energia americano si aspetta un calo della produzione pari a 2-3 milioni di bpd entro la fine del 2020. Tuttavia, i tagli forzati della produzione non saranno un appannaggio esclusivo dei paesi sviluppati: anche il Brasile, la Colombia e perfino la Russia si sono ritrovati nella stessa situazione appena i prezzi sono scesi al di sotto del costo del denaro in alcuni ambiti. Gli stati del Golfo dovrebbero essere i meno colpiti, essendo quelli produttori a costi minori, anche se, con i prezzi così bassi, stiamo vedendo dei rinvii delle spese in conto capitale in stati come il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti. Ciò significa che nel corso dell’estate si potrebbe verificare un ribilanciamento del mercato petrolifero, guidato da un graduale recupero dal lato della domanda e da riduzioni della produzione volontarie o involontarie per quanto riguarda l’offerta. Per esempio, l’Aie stima una riduzione degli stock di 5 milioni di bpd nella seconda metà dell’anno; questo potrebbe innescare una graduale risalita dei prezzi, anche se la situazione di stress delle scorte impiegherà mesi prima di attenuarsi. Ovviamente, c’è molta incertezza su questo punto. Sia sul lato della domanda che sul lato dell’offerta, ci troviamo su territori inesplorati.

 

Chi saranno vincitori e vinti?

In un clima del genere, sicuramente saranno avvantaggiati gli importatori di petrolio. L’abbassamento del prezzo dovrebbe avvantaggiare la bilancia commerciale degli importatori, a parità di altri fattori. Paesi come la Turchia, l’India e le Filippine potrebbero vedere un incremento nella loro bilancia commerciale sull’energia. Altri mercati ancora, in cui i sussidi per l’energia sono ancora rilevanti, potrebbero vedere dei benefici anche sul lato fiscale. L’Egitto per esempio ha annunciato che all’inizio dell’estate toglierà questi sussidi. Le valute più sensibili agli andamenti del mercato del petrolio come il rublo russo, il peso colombiano e il peso messicano potrebbero andare incontro ad ulteriori pressioni, così come valute di frontiera come la naira nigeriana. La crescita lenta delle esportazioni di petrolio dovrebbe lasciare spazio all'azione della politica delle banche centrali e consentire ai tassi di ridursi. Dal punto di vista delle obbligazioni in valuta forte, possiamo categorizzare gli esportatori di petrolio più esposti come “investment grade” o “high yield”. La maggior parte degli esportatori investment grade hanno bilanci solidi, che permettono loro di sopportare abbastanza facilmente qualche mese di debolezza del mercato senza sconvolgimenti eccessivi. Tra questi mercati si trovano i principali produttori della zona del Golfo e la Russia. Tra coloro che rientrano nella categoria high yield ci sono alcuni produttori di greggio che devono affrontare questioni più annose legate alla liquidità e/o alla sostenibilità del debito. In questo raggruppamento rientrano i paesi più vulnerabili dell’Opec, come Oman e Nigeria, che saranno anche danneggiati dal calo della produzione in linea con i loro impegni precedentemente e probabilmente registreranno un disavanzo fiscale molto alto quest’anno.

 

*head of fixed income di Ninety One

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