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Recovery fund, la direzione è giusta ma non basta

5/28/2020 | Daniele Riosa

C’è chi vorrebbe un’estensione del PEPP e chi teme veti incrociati in Parlamento e tra i Paesi. Vediamo come i gestori hanno accolto le misure della Commissione UE


La Commissione Europea scende in campo con l’artiglieria pesante per combattere la crisi innescata dalla diffusione della pandemia da Coronavirus. Il Fondo per la Ripresa da 750 miliardi (la cui approvazione definitiva dovrà passare dal Parlamento europeo) prevede che si distribuiscano 500 miliardi sotto forma di sovvenzioni e altri 250 miliardi sotto forma di prestiti. All’Italia dovrebbero andare 82 miliardi in sovvenzioni e 91 miliardi in prestiti. Vediamo come i gestori hanno accolto le misure previste dall’esecutivo comunitario.

Didier Saint-Georges, membro del comitato strategico d’investimento di Carmignac, pensa che “dal punto di vista economico, poiché le erogazioni saranno ripartite su quattro anni a partire dal 2021, non bisogna confondere questo recovery fund europeo con il sostegno necessario nel breve termine per superare l'attuale collasso economico di diversi Stati membri. Per questo, i singoli Paesi sono ancora per lo più autonomi e dipendono fortemente dal sostegno della BCE. L'estensione e l'aumento del PEPP, di cui dovremmo sapere di più la prossima settimana, rimane un elemento essenziale per permettere ai Paesi di uscire dalla crisi. Non dimentichiamo che ciò che ha reso debole la maggior parte degli Stati membri più in difficoltà non è la mancanza di disciplina fiscale, ma la mancanza di crescita. La priorità deve essere quella di permettere loro di spendere per la crescita”.

Secondo Reto Cueni, senior economist di Vontobel Asset Management, “nonostante il positivo passo in avanti verso la creazione di un nuovo fondo di recupero, questa nuova proposta scatenerà ora una disputa sulla dimensione e la natura del sostegno finanziario dell'UE ai Paesi periferici duramente colpiti. I dibattiti più caldi si concentreranno sull'uso delle sovvenzioni, che non dovranno essere restituite, e su come ridurre l'impressione, che in alcuni Paesi, questo sia il prossimo passo verso la mutualizzazione del debito o addirittura verso un'unione fiscale. Ci aspettiamo ancora che i capi di Stato si accordino su un fondo di recupero del valore di circa 750 miliardi di euro che includa sovvenzioni e prestiti, ma c'è ancora un rischio sostanziale che Paesi finanziariamente conservatori come i Paesi Bassi, l'Austria o la Svezia possano bloccare un accordo generoso. La strada verso un accordo finale sarà dura e potrebbe spaventare i mercati di tanto in tanto, dato che anche i diversi parlamenti nazionali dovranno dare il loro assenso”.

Filippo Diodovich, senior strategist di IG Italia, crede che “la proposta della Commissione UE sia una versione migliorativa di quella promossa dal duo Merkel-Macron, aggiungendo un mix tra sovvenzioni e prestiti a lunga scadenza che possono favorire notevolmente i Paesi più colpiti dall’emergenza coronavirus. Un concreto sistema solidale di trasferimenti di fondi dagli stati del nord Europa, meno colpiti dal Covid-19, verso gli stati periferici del Vecchio Continente. Per l’Italia gli elementi favorevoli sono molteplici ma rimangono delle criticità soprattutto nel secondo semestre e in particolare negli ultimi mesi dell’anno quando potrebbero aumentare le tensioni sul mercato obbligazionario. Riteniamo che sia necessario che la Commissione possa pensare a una soluzione ben più corposa rispetto al prestito ponte da 11,5 miliardi di euro e che la BCE debba impegnarsi ulteriormente nei piani di acquisto di bond governativi e corporate”.

Oliver Blackbourn, multi-asset portfolio manager di Janus Henderson Investors, sostiene che l’organo di governo europeo ha optato sia per le sovvenzioni che per i prestiti “proponendo un piano per fornire un massiccio pacchetto di stimoli fiscali. La proposta franco-tedesca della scorsa settimana sembra aver fissato un riferimento a partire dal quale la Commissione ha deciso di spingersi oltre. Gli stanziamenti per l'Italia e la Spagna sono ingenti e appaiono significativi in rapporto alle loro economie. La domanda ora è quanto velocemente la proposta o qualche sua variante verrà definitivamente approvata e quando il denaro sarà speso. Ci sono ancora degli ostacoli da superare prima che il piano possa essere attuato, soprattutto perché ogni membro dell'UE avrà un veto. Ad esempio, i cosiddetti ‘frugal four’ potrebbero ancora sostenere che il pacchetto non risponda alle loro preoccupazioni. Tuttavia, con i due pilastri principali dell'UE, Germania e Francia, a sostegno di misure simili, è sicuramente una questione di ‘quando’ piuttosto che di ‘se’. La portata della proposta supporta chiaramente i risk assets di tutta Europa, soprattutto per le banche altamente sensibili al rischio”.

Antonio Cesarano, chief global strategist di Intermonte SIM, prevede che “il compromesso con i 4 Paesi frugali appare comunque possibile ed il momento conclusivo potrebbe arrivare nel corso di un Consiglio Europeo di luglio (data ancora da definire) in modo che il varo coinciderà anche con la partenza del semestre di presidenza Ue da parte della Germania. Il peso maggiore dei nuovi fondi/garanzie richiesti in ambito bilancio Ue, sarà soprattutto a carico della Germania. Di conseguenza il vantaggio competitivo di emissioni a tassi fortemente negativi potrebbe venire in parte meno per la Germania, come già sta accadendo. In estrema sintesi questo andamento può portare ad un ulteriore calo dello spread che potrebbe velocemente attestarsi in area 150/170 pb entro giugno, in vista dei corposi grants ed anche del possibile ampliamento del QE della BCE già il prossimo 4 giugno”.

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