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Non aspettiamoci miracoli dal Recovery Fund

9/2/2020

Le sovvenzioni decise a Bruxelles non sono denaro gratuito, e saranno legate ai piani nazionali di ripresa che saranno valutati dalla Commissione Europea. L'analisi di T. Rowe Price


Un accordo storico, ma non una formula magica che sia in grado di sostenere la crescita di lungo termine o di far scomparire il macigno del debito che opprime i Paesi dell’Europa periferica. E' questo la valutazione del Recovery Fund da parte di Tomasz Wiedadek, international economist, T. Rowe Price.

 

"Il fatto che un accordo di tale portata sia stato firmato dopo solo un round di negoziati è stato sorprendente, rispetto al passato" spiega l'economista, che ne elenca le ragioni. "Primo, i leader europei hanno imparato che rimandare le decisioni può comportare soluzioni più onerose. Secondo, la Cancelliera tedesca Angela Merkel, attualmente alla Presidenza, ha forti poteri di persuasione. Terzo, i negoziati sono avvenuti in contemporanea a quelli sul bilancio UE, rendendo possibili le concessioni finanziarie necessarie. Infine, è stato il primo summit rilevante senza la partecipazione del Regno Unito. Tale assenza ha comportato uno spostamento del potere politico dai paesi del Nord a quelli del Sud Europa, rendendo più difficoltosa l’imposizione di ostacoli alle spese. Il Next Generation EU ha senso sia da una prospettiva di bilancio che una politica: una risposta fiscale forte e sincronizzata aiuterà a sostenere l’economia europea e a limitare la portata dei deficit fiscali futuri". 

 

Wiedadek evidenzia che il fondo non risolverà automaticamente tutti i maggiori problemi strutturali dell’eurozona. "Sebbene le sovvenzioni saranno legate alle riforme macroeconomiche in principio, non è chiaro se tali riforme saranno sufficientemente ambiziose per aiutare i Paesi a generare un potenziale di crescita di lungo termine più elevato. All’opposto, l’implementazione delle riforme potrebbe peggiorare la situazione nel breve periodo.  Idealmente i capitali saranno dispiegati oggi a fronte della promessa credibile di attuare delle riforme fra cinque anni. Ma qualsiasi promessa rischia di mancare di credibilità dato che è difficile per i Governi di oggi stabilire cosa faranno quelli futuri". In particolare l'attuazione di riforme macro è problematica per le economie del Sud Europa, "poiché l’unico modo che hanno per ridurre in modo sostenibile il debito pubblico a cui vanno incontro è non generarlo affatto". 

 

Non è chiaro inoltre se il fondo NGEU sia abbastanza ampio da sostenere la ripresa in caso di una seconda ondata di Coronavirus. "Molte delle misure sono considerate eccezionali, ma la pandemia non è terminata e una seconda impennata è già evidente in alcuni Stati. Crediamo che ulteriori lockdown nazionali siano improbabili, ma non possono essere esclusi completamente. In questo scenario, il capitale del fondo sarebbe come una goccia in un oceano rispetto alle necessità del blocco. In più, è difficile che l’Unione accordi un altro provvedimento di portata simile. Potrebbe farsi spazio una sorta di compiacenza politica". 

 

"Nel complesso, l’accordo sul Recovery Fund, con alcuni Stati che trarranno benefici superiori rispetto a ciò che dovranno rimborsare, crea un precedente per i trasferimenti fiscali, in grado di aiutare a ridurre gli shock economici. Questo è dunque un primo passo importante verso l’unione fiscale. Tuttavia, l’unico modo sostenibile per i Paesi periferici di superare il peso del debito pubblico è tramite una maggiore crescita di lungo termine. Sebbene i piani sulla ripresa a cui saranno legate le sovvenzioni non siano ancora stati presentati, è improbabile che le riforme macro saranno sufficientemente ambiziose da contribuire alla crescita di più lungo termine. La sostenibilità del debito pubblico nel medio periodo continuerà ad essere quindi una sfida chiave per questi Paesi" conclude l'economista.

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