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ESG, il tempo è poco ma giusto adattarsi quanto prima

11/6/2020

In questa intervista in esclusiva per Advisoronline.it Rodolfo Fracassi, amministratore delegato e co-fondatore di MainStreet Partners fa il punto sulla normativa relativa alla sostenibilità


Un quadro normativo più solido aiuterà la sostenibilità a fare uno scatto in avanti per uno sviluppo più strutturato? Da moda passeggera a trend di investimento solido, in questa intervista in esclusiva per Advisoronline.it, abbiamo parlato con Rodolfo Fracassi (nella foto), amministratore delegato e co-fondatore di MainStreet Partners del futuro degli investimenti green e della rilevanza dei fattori ESG.

 

Qual è secondo lei il motivo che ha spinto EFAMA a chiedere uno slittamento nel termine del 21 marzo prossimo per il regolamento 2088/2019 (SFRD)? Secondo l'Associazione europea questo termine non è "realistico" né sufficiente per le società affinché queste riescano a produrre la documentazione necessaria.

La nuova normativa europea richiede un cambiamento enorme da un punto di vista di approccio gestionale e di comunicazione in ambito ESG. Questo sviluppo ha quindi ricadute sia su chi si approccia al tema per la prima volta, sia per chi già pratica questo tipo di investimenti da anni.

Partiamo da chi si era già attrezzato con strumenti, politiche, prodotti veramente ESG e sostenibili e deve oggi adeguarsi a questa regolamentazione in un contesto di un’organizzazione complessa con “produttore” e “distributore” coinvolti, dato che la normativa lo ricordiamo tocca entrambi. Bene, i requisiti per la prima scadenza di marzo 2021 non sono troppo complessi nella teoria, ma poi nella pratica dover diffondere urbi et orbi le proprie politiche d’investimento in un formato ben comprensibile e far sì che siano presenti sulla documentazione richiesta, non è di per sé un esercizio banale pensando alla molteplicità di comunicazioni che dovranno essere preparate, validate e poi diffuse.

Ma questo è solo l’inizio, perché poi non avrebbe troppo senso preparare oggi classificazioni e comunicazioni generaliste per poi doverle rivedere completamente fra meno di un anno, quando invece si avranno i formati specifici secondo i quali riportare. Tanto vale allora portarsi avanti - evitando di fare il lavoro due volte - e andare a classificare investimenti e prodotti, comunicando poi in modo già il più possibile allineato, secondo i criteri dei principali articoli della regolamentazione in essere. Ci si potrebbe anche spingere già ad interpretare al meglio le richieste degli allegati tecnici, che saranno comunque disponibili in forma completa probabilmente da fine 2021, poiché le bozze oggi presentate sembrano già vicine a un formato finale. Dunque bisogna riportare le informazioni in formati ben specifici, che non è detto coincidano con quelli usati in passato anche da chi già gestiva e distribuiva portafogli ESG.

Immaginiamo quanto più complesso possa essere per chi ancora si trova all’inizio del percorso o chi aveva da poco comunicato ad incamminarsi, perché in quel caso le strade sono due: o si dichiara di non prendere in considerazione nemmeno i rischi ESG minimi, oppure ci si deve attrezzare per farlo. Certamente si potrà all’inizio dichiarare di non considerare per nulla i rischi ESG, però non so quanti gestori e distributori vorranno posizionarsi in tal senso quando è ormai evidente che come minimo l’analisi ESG aiuta sul piano della gestione del rischio e anche nella performance, a nostro avviso.

In sintesi, pensiamo che il tempo a disposizione fosse comunque stretto fin dall’inizio anche per chi era già pronto, ma questo non toglie che ci si debba adeguare e cominciare un percorso serio per essere compliant il prima possibile, o di transizione mirata con tempistiche precise e un progetto serio, perché alla fine un rinvio completo non è realistico.

 

Molti asset manager si stanno muovendo nella direzione di adattare fondi già esistenti affinché questi rispecchino i criteri ESG, quanto è reale il rischio greenwashing in questo caso?

Come leggiamo nel bel report pubblicato da PWC recentemente, si stima che oltre il 50% delle masse gestite in Europa da qui ai prossimi 5 anni risponderà a criteri ESG ed è a nostro avviso una stima credibile soprattutto alla luce della spinta regolamentare. Non è possibile raggiungere questi numeri solo con masse nuove ma vedremo necessariamente una transizione verso l’ESG di prodotti già esistenti. A mio avviso, da qui ai prossimi 10-15 anni praticamente tutti gli asset gestiti risponderanno a principi anche minimi di sostenibilità. Sicuramente c’è chi non farà questo processo nel modo migliore, però dal lato nostro stiamo assistendo ad un’evoluzione seria nell’industria perché si è capito che queste dinamiche portano valore. Penso che già dai prossimi mesi la domanda non sarà “Sei sostenibile sì o no?” ma “Quanto sei sostenibile?”. E allora sarà sempre più importante che gli investitori ed i distributori si attrezzino per avere a disposizione strumenti in grado di misurare il livello di serietà delle strategie e prodotti d’investimento, in modo da poterli classificare nel modo corretto e saper rispondere alle esigenze degli investitori, che saranno espresse anche in sede di questionario Mifid II, quindi con rilevanza formale. Sarà molto utile anche poter valutare le performance extra-finanziarie in modo indipendente e credibile, non solo affidarsi alle informazioni e dati forniti dai gestori dei fondi stessi, perché ovviamente per quanto si voglia fare tutti il lavoro migliore possibile, ci sarà sempre un conflitto d’interessi notevole.

 

Altrettante SGR si stanno rafforzando con la nomina di nuovi specialisti in campo green nel caso dell'obbligazionario, o ancora esperti di istanze legate al clima e all'ambiente o in logiche di investimento "impact". Questo trend va incontro a una richiesta dei clienti, sono loro a chiedere più prodotti ESG e di conseguenza più esperti in grado di occuparsene?

Sicuramente la crescita degli asset ESG è guidata non solo dalle modifiche regolamentari ma anche dalla domanda dei clienti. Abbiamo assistito in questi anni ad un cambiamento forte nella domanda di prodotti sostenibili e non solo da parte dei Millennial, che sono stati storicamente la categoria più riconosciuta come propensa a investire in questo modo. Anche le generazioni precedenti si sono avvicinate progressivamente agli investimenti sostenibili soprattutto quest’anno, anche alla luce di ottime performance ed una ormai chiara tendenza dei mercati e degli investitori istituzionali a favorire aziende con buoni profili ESG o perlomeno a ridurre posizioni in quelle con profili particolarmente negativi. Di conseguenza le società di gestione si stanno attrezzando per assumere persone con la giusta esperienza.

 

Si inizia a parlare di una "bolla" nel comparto ESG, è d'accordo? Alcuni sostengono che ci troviamo di fronte a un evento simile a quello legato al tech a fine anni '90, si stanno insomma ignorando i fondamentali dei titoli che si scelgono.

Parlare di bolla nell’ESG è più difficile che in altri contesti, proprio perché l’ESG non è una nicchia di mercato, piuttosto è un approccio alla gestione che abbraccia potenzialmente tutti gli asset. Quindi sarebbe difficile affermare che siamo in una bolla di prezzi per tutti quei titoli che hanno elevati profili ESG. Va però detto che, in un contesto dove la stragrande maggioranza delle aziende con solidi fondamentali è già molto cara per altri motivi, l’arrivo di ulteriori flussi ingenti soprattutto in alcuni settori specifici sta portando a prezzi davvero elevati e spesso irrazionali, su questo sono d’accordo.

Per esempio, il tema ambientale ha raccolto moltissimo nel 2020, la maggior parte dei fondi tematici che hanno segnato la raccolta maggiore sono legati a questo tema e, come spesso accade, i flussi finiscono per concentrarsi in pochi titoli noti perché sono i leader di settore e più facili da identificare. Questo di sicuro distorce i loro pricing di mercato nonostante si tratti spesso di titoli di grande qualità.

Di conseguenza la risposta è muoversi di più lungo la catena del valore andando a scoprire opportunità d’investimento nei temi e settori ma soprattutto lungo le filiere che sono ancora meno battute, il che però richiede una grande conoscenza specifica di questa tipologia d’investimenti.

In sintesi, credo che un’eventuale bolla nell’ESG sia molto distribuita e diluita quindi di fatto meno a rischio di ondate precedenti; tuttavia, è fondamentale conoscere bene i singoli investimenti, e anche qui va valutata accuratamente la track record e soprattutto la conoscenza da parte del gestore delle specifiche aree d’investimento, per evitare di trovarsi in portafoglio poi sempre gli stessi nomi noti.

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