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Le sfide del 2021 per il reddito fisso

3/9/2021

Dopo decenni trascorsi nel tentativo di stimolare l'inflazione, potrebbe essere proprio lei la forza che obbliga le banche centrali a smettere di dettare le regole del gioco?


Da anni le banche centrali, ogni volta che si presentano shock imprevisti o una minaccia di recessione intervengono con misure di politica monetaria che supportano gli asset rischiosi. Questo ha avuto l'effetto di mutare il comportamento degli investitori, aumentandone la propensione al rischio e spingendoli sempre più a ignorare scomode realtà. I mercati sembrano solidi all'apparenza, ma periodicamente dimostrano la loro debolezza e fragilità. Guardando al 2021 la convinzione degli investitori è che sarà un anno migliore per la crescita, ma pensano anche che se così non fosse, ci penseranno le banche centrali a introdurre nuove misure di incentivazione. In tale contesto, James Athey, senior investment manager, Aberdeen Standard Investments, analizza le possibili conseguenze per il reddito fisso.

 

“Mentre per le azioni entrambi gli scenari possono sfociare in rialzi, per le obbligazioni potrebbero avere conseguenze drasticamente diverse” osserva Athey. “Se il 2021 non risultasse così roseo e positivo come previsto, un nuovo intervento delle banche centrali sarebbe praticamente inevitabile e, dato l'ulteriore acquisto di obbligazioni, non sarebbe di certo il momento per assumere posizioni ribassiste sull'asset class. Anche i governi potrebbero scendere in campo, il che comporterebbe un aumento del deficit e dell'offerta di titoli sovrani. Tuttavia la crescita debole e le forze disinflazionistiche prenderebbero il sopravvento relegando in un angolo i timori per le finanze pubbliche o le probabilità di trovare acquirenti per il debito emesso dallo Stato”.

 

Nell’altro scenario possibile, di un 2021 caratterizzato da un rafforzamento della crescita e dell'inflazione, gli investitori obbligazionari potrebbero trovarsi in difficoltà. “In uno scenario del genere, sarebbe normale attendersi un rialzo dei rendimenti e un irripidimento delle curve, ed è proprio quello che si aspetta il consensus per il 2021. Tale aspettativa non è del tutto mal riposta. Le campagne vaccinali stanno accelerando il passo e, in considerazione dell'alta efficacia prevista, è ragionevole ritenere che le economie torneranno a una quasi normalità nel secondo semestre dell'anno” prosegue Athey.

 

Tutto rose e fiori quindi? Non esattamente. “Esiste però anche la possibilità di un aumento dell'inflazione, che decreterebbe ingenti fallimenti tra le piccole e medie imprese, i negozi locali, le grandi marche e i fornitori di servizi locali. La conseguente riduzione dell'offerta indurrebbe un rialzo dei prezzi. Anche le quotazioni petrolifere potrebbero contribuire in misura importante all'inflazione primaria. Dalla fine del primo trimestre circa, l'inflazione dovrebbe risultare decisamente elevata su base annuale, anche in considerazione del basso livello del 2020. Un notevole aumento potrebbe essere registrato anche nei prezzi di altre materie prime, in parte per la prevista ripresa nella domanda e in parte a seguito delle limitazioni e delle interruzioni nell'offerta indotte dalla pandemia”.

 

In tale contesto, che ruolo svolgeranno le banche centrali? “Una stretta monetaria sembra fuori questione. La ripresa economica ha un lungo percorso da compiere e i danni inferti dalla crisi sanitaria non sono stati ancora riparati, benché temporaneamente mascherati dall'ondata di liquidità post-pandemia. Le banche centrali saranno ancora più caute nel rimuovere le misure di allentamento monetario di quanto non sia accaduto dopo la crisi finanziaria globale del 2008. L'aumento dell'inflazione e il rafforzamento della crescita, tuttavia, possono limitare le possibilità di ulteriori allentamenti monetari. In un mondo sovraindebitato, i crescenti costi di finanziamento potrebbero indurre gli investitori azionari a una seria riflessione. È possibile che le fragilità sottostanti del mercato azionario si ritrovino nuovamente esposte agli occhi di tutti, ma con una minore capacità di intervento da parte delle banche centrali? Chissà... In tal caso, non sarebbe certamente un contesto sfavorevole per chi investe in titoli di Stato. Tutto questo porta a chiedersi quanto sia effettivamente stabile l'equilibrio di mercato dettato dal consensus” spiega ancora Athey.

 

Dopo decenni trascorsi nel tentativo di stimolare l'inflazione, potrebbe essere proprio lei la forza che obbliga le banche centrali a smettere di dettare le regole del gioco?

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