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Il risparmio gestito italiano resiste alla pandemia

5/4/2021

Secondo il Rapporto sulla stabilità finanziaria di Banca d’Italia i riscatti sono rimasti contenuti, la liquidità dei fondi non ha registrato tensioni significative e i rischi derivanti dal comparto restano bassi


Proseguendo un trend iniziato ad aprile 2020, la raccolta netta dei fondi comuni aperto italiani è risultata positiva anche nel primo trimestre 2021. La quota dei fondi aperti vulnerabili a richieste di rimborso elevate, seppure aumentata, è rimasta comunque bassa, e i rischi per la stabilità finanziaria derivanti dal comparto si mantengono contenuti. E’ quanto emerge dall’ultimo Rapporto sulla stabilità finanziaria elaborato dalla Banca d'Italia, che analizza le condizioni del sistema finanziario italiano e i principali fattori di rischio di origine interna e internazionale, valutandone il possibile impatto.

 

Nella sezione del rapporto dedicata al risparmio gestito, l’analisi evidenzia che dalla ripresa delle sottoscrizioni iniziata oltre un anno fa “si sono verificati riscatti netti di quote unicamente nei comparti flessibili e hedge”, “la gestione della liquidità dei fondi comuni aperti italiani non ha registrato tensioni significative” mentre il grado di liquidità, che a marzo si è attestato al 6,7% “rimane su valori elevati nel confronto storico”. Secondo il rapporto non si sono rilevate variazioni di rilievo nelle linee di credito disponibili e nell’indebitamento.

 

A partire da settembre la quota di fondi italiani vulnerabili a richieste di rimborso particolarmente elevate (con un indicatore di liquidità inferiore all’unità) è cresciuta, ma resta comunque ridotta (si tratta di fondi cui faceva capo il 4,1% del patrimonio complessivo del settore a gennaio del 2021. “Nel complesso” prosegue il rapporto “i fondi comuni aperti italiani hanno un’esposizione contenuta in strumenti derivati e il rischio di liquidità connesso con le variazioni dei margini di garanzia è diminuito negli ultimi mesi: in gennaio i fondi vulnerabili a questa specifica tipologia di rischio di liquidità rappresentavano l’1,2% del patrimonio complessivo del comparto”.

 

Per quanto riguarda i fondi alternativi mobiliari, il patrimonio è cresciuto del 12% nel 2020, soprattutto “per l’espansione del comparto dei fondi che investono nel capitale di rischio delle imprese (private equity) e di quelli specializzati nell’erogazione diretta di finanziamenti o nell’acquisto di crediti originati da altri intermediari (che hanno raggiunto alla fine dell’anno un patrimonio rispettivamente pari a 16 e a 4 miliardi)”. Nel secondo semestre del 2020 sono stati anche autorizzati i primi sei PIR alternativi, i fondi specializzati prevalentemente nell’investimento in strumenti finanziari emessi da piccole e medie imprese italiane che rispettano la normativa dei nuovi piani individuali di risparmio a lungo termine.

 

Secondo il rapporto rimangono contenuti i rischi per la stabilità finanziaria derivanti dall’attività dei fondi alternativi mobiliari, che alla fine del 2020 rappresentavano il 9% del patrimonio netto complessivo dei fondi italiani, dato che i potenziali rischi connessi con la scarsa liquidità degli attivi sono attenuati dalla normativa: quest’ultima impone infatti ai fondi che investono una quota superiore al 20% del proprio patrimonio in attività illiquide di costituirsi in forma chiusa. Anche la leva è nel complesso modesta (104% del patrimonio netto, contro una media europea del 182% nel 2019).

 

Per i fondi alternativi aperti non vengono riscontrati rischi di liquidità a breve termine: “solo in caso di persistenti deflussi su un orizzonte temporale tra sei mesi e un anno si potrebbe verificare un lieve disallineamento tra la liquidità dell’attivo e il profilo di rimborso degli investitori, di circa il 4% del portafoglio titoli.

 

Nel secondo semestre del 2020 è ripresa anche l’espansione del comparto dei fondi immobiliari italiani: a dicembre il patrimonio ha raggiunto 98 miliardi, con un aumento del 10% rispetto a quello della fine del 2019, in linea con i comparti degli altri paesi dell’area dell’euro. “La crescita, che ha riguardato esclusivamente i fondi riservati a investitori professionali, è stata sostenuta principalmente da investitori italiani e si è concentrata nelle province di Milano e di Roma, dove sono stati effettuati circa due terzi degli investimenti dei fondi istituiti nell’anno”.

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