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Le attese di inflazione potrebbero non essere temporanee

5/28/2021 | Redazione Advisor

Brusa di GAM si chiede “cosa succederebbe se il concetto di ‘transitorio’, per propria natura soggettivo, si dovesse protrarre per un paio d’anni, come ad esempio avvenuto dopo il 2011?”


“Le attese d’inflazione salgono anche in Europa ma la Bce rassicura, si tratta di un fenomeno temporaneo”. Paolo Mauri Brusa, gestore del team multi asset Italia di GAM (Italia) SGR, sottolinea che “il rendimento del Bund risale dai minimi ma resta in territorio negativo a dispetto di un’inflazione tedesca superiore al 2%”.

Il manager ricorda che “il leitmotiv che ha condizionato l’andamento dei mercati negli ultimi mesi è certamente legato all’evoluzione dell’indice dei prezzi al consumo e alla conseguente reazione delle Banche Centrali. In Europa il rialzo delle attese d’inflazione e dei rendimenti governativi è stato certamente più moderato rispetto agli Stati Uniti, ma non trascurabile. Dopo il crollo nel 2020, i prezzi sono tornati a salire quest’anno, con un dato aggregato dell’1,6% per l’area euro, del 2,1% per la Germania. Il movimento sulle curve euro ne è stata una conseguenza, anche se la reazione dei tassi finora è stata decisamente inferiore a quella dell’inflazione, quantomeno per il Bund. Il decennale tedesco resta infatti in territorio negativo, -21 bps al momento in cui scriviamo, dai minimi di -64 bps toccato a dicembre”.  

“Da un lato - argomenta l’analista - la retorica delle due maggiori Banche Centrali (Fed e Bce) afferma con assoluta certezza che l’attuale trend è transitorio e che, in forza di questo, non ci saranno modifiche a breve delle attuali politiche monetarie. E’ di questi giorni la dichiarazione di Fabio Panetta, membro del Board della Bce, sul fatto che sia assolutamente prematuro parlare di tapering e che, stante l’attuale situazione economica, il PEPP continuerà senza interruzioni almeno fino a marzo del 2022. D’altro canto, uno degli effetti ‘collaterali’ del QE è la riduzione del flottante sul Bund disponibile per gli investitori privati. Banche Centrali e Fondi Sovrani hanno ridotto questa disponibilità al 20% dello stock totale alla fine del 2020. Se a questo aggiungiamo quanto detenuto dalle banche commerciali tedesche, il flottante si riduce a un misero 10%. Basti pensare che tale percentuale era al 60% nel 2004 ed è rimasto oltre il 45% fino all’inizio del 2015, quando è iniziato il QE”.

“La scarsità di ‘carta’- rileva l’economista - influisce fortemente sul livello dei rendimenti, rendendo la curva tedesca meno reattiva rispetto, ad esempio, a quella americana e limitandone la risalita pur in presenza di aspettative d’inflazione crescenti. Ma questa ‘inelasticità’ è sicuramente amplificata dalla percepita transitorietà dell’attuale spinta inflattiva. La domanda fondamentale si propone però in altri termini: cosa succederebbe se il concetto di ‘transitorio’, per propria natura soggettivo, si dovesse protrarre per un paio d’anni, come ad esempio avvenuto dopo il 2011? Se è vero che la Bundesbank difficilmente diventerà venditrice di Bund, lo stesso non si può dire per tutti gli altri investitori istituzionali, in particolare quelli internazionali”.

“Attualmente Banche Centrali e Fondi Sovrani stranieri detengono oltre 900 miliardi di euro di Bund, ma tra il 2014 e il 2016 avevano ridotto il loro stock di ben 150 miliardi, salvo poi ricostituire le loro posizioni negli anni successivi. E’ probabile che tale dinamica possa riproporsi, con evidenti conseguenze sia sulla curva tedesca che, a cascata, su tutte le altre curve dell’area euro”, conclude Brusa.

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