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L'inflazione mette paura ai mercati emergenti

6/24/2021 | Lorenza Roma

Eisinger (Vanguard): "In termini di rischio di credito, un grande shock inflazionistico negli Stati Uniti che si traduce in mosse inaspettate della Fed rischia di danneggiare in modo significativo i mercati emergenti"


"La forte ripresa statunitense e le relative pressioni di reflazione possono rappresentare una sfida per alcune aree dell'universo dei mercati emergenti", ha spiegato Nick Eisinger, co-head del team Emerging Markets and Sovereign Debt di Vanguard e gestore dell’Emerging Markets Bond Fund. Ciò è visibile soprattutto nell’ambito dei Treasury statunitensi e in misura minore, dei Bund tedeschi (titoli di stato emessi dal governo tedesco). Il nostro scenario di base è che né la Fed né la BCE si muoveranno improvvisamente e che le attuali pressioni sull'inflazione saranno probabilmente contenute. Vediamo tuttavia un piccolo, ma crescente rischio "di coda" che le due banche centrali possano reagire prima del previsto a pressioni inflazionistiche prolungate. Comunque se questo non dovesse accadere, il mercato obbligazionario rimane scettico sul fatto che le pressioni inflazionistiche siano semplicemente temporanee".

 

"Un improvviso cambio di direzione da parte della Fed porterebbe a un cambiamento nelle condizioni finanziarie, specialmente se i tassi di interesse reali dovessero muoversi al rialzo (cioè i tassi nominali dovessero salire più velocemente dell'inflazione sottostante o dell'inflazione break-even). Questo potrebbe avere conseguenze piuttosto dirompenti per una serie di asset di rischio, sia nel mercato azionario sia in quello obbligazionario. I mercati emergenti saranno molto probabilmente in prima linea in questo processo di aggiustamento", ha precisato il gestore.

 

"Una considerazione importante in questo contesto è il diverso ritmo della ripresa economica nei mercati emergenti rispetto ai paesi sviluppati. I governativi emergenti investment grade stanno già vedendo forti segni di ripresa economica. Questo significa che i ministeri delle finanze sono in grado di iniziare a consolidare le finanze pubbliche e le banche centrali sono in grado di normalizzare la politica monetaria. Generalmente i mercati emergenti non possono permettersi il lusso avere un’economia che si surriscalda, come ha segnalato la Fed. Saranno invece desiderosi di mettere in evidenza la propria credibilità di politica monetaria duramente guadagnata", ha sottolineato Eisinger che ha aggiunto "una buona parte delle banche centrali dei mercati emergenti che affrontano un'inflazione più alta hanno già inasprito o segnalato una politica restrittiva. Brasile e Russia hanno aumentato i tassi di interesse e uno scenario simile è già prezzato in molti paesi dell'Europa centrale e orientale, come Repubblica Ceca e Ungheria. È improbabile che i rialzi siano estremi in questa fase, data la ripresa altalenante e un po' fragile.

 

"L'aumento dei tassi nei mercati emergenti rispetto agli Stati Uniti, soprattutto nel nostro scenario base in cui la Fed si muoverà molto lentamente, è stato e dovrebbe continuare a essere un buon catalizzatore per l'esposizione alle valute emergenti. In termini di rischio di credito, un grande shock inflazionistico negli Stati Uniti che si traduce in mosse inaspettate della Fed rischia di danneggiare in modo significativo i mercati emergenti. Soprattutto quei paesi con un notevole fabbisogno di finanziamento come la Turchia e aree dell'America Latina. Le emissioni sovrane con fondamentali più forti sarebbero più resistenti, anche se chiaramente, hanno un ristretto margine sullo spread per assorbire la debolezza dei Treasury USA o rendimenti più alti. Un modesto aumento dei rendimenti dei treasury statunitensi, che non provochi deflussi dai mercati emergenti o a un serio irrigidimento delle condizioni di finanziamento, può portare a una buona performance delle obbligazioni sovrane high yield dei mercati emergenti, dato lo spread molto più ampio", ha concluso Eisinger.

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