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Dollaro, ecco i fattori che spingono alla flessione

7/6/2021 | Daniele Riosa

Thozet (Carmignac): “Un tale fenomeno di forte crescita economica, in termini assoluti e rispetto al resto del mondo, dovrebbe essere accompagnato da una performance sostenuta della valuta statunitense”


“Dopo aver registrato un ciclo di apprezzamento pluriennale, il dollaro oggi si trova ad affrontare un numero crescente di fattori che potrebbero spingere la valuta statunitense oltre il punto critico”. Kevin Thozet, membro del comitato investimenti di Carmignac, spiega che pertanto, i movimenti di mercato delle ultime otto settimane meritano una certa attenzione”.

Tutti i Paesi a livello globale - continua il gestore - non stanno uscendo dalla crisi sanitaria con le stesse dinamiche di crescita. Il contesto di desincronizzazione della crescita globale è riconducibile alle forti disparità nelle modalità con cui i Paesi hanno gestito la pandemia e all’eterogeneità delle misure adottate per rispondere alle ripercussioni economiche della crisi. Negli Stati Uniti, i vari piani di sostegno e le campagne vaccinali hanno consentito una forte ripresa dell’economia. Diversi dati economici e le pubblicazioni dei risultati delle imprese ad oggi sembrano confermare questa tendenza. Inoltre, i 6.000 miliardi di dollari che il governo statunitense prevede di spendere nel 2022 lasciano presagire che l’economia statunitense continuerà a migliorare anche dopo l’anno del rimbalzo”.

Per il manager “un tale fenomeno di forte crescita economica, in termini assoluti e rispetto al resto del mondo, dovrebbe essere accompagnato da una performance sostenuta della valuta statunitense; tuttavia, il dollaro ha ampiamente azzerato l’apprezzamento registrato nel primo trimestre. Questo apparente paradosso non dovrebbe sorprendere. Innanzitutto, il volume di spesa pubblica per sostenere l’economia statunitense e il conseguente indebitamento raggiungeranno livelli record. Questo è un primo aspetto penalizzante per il dollaro. Un altro è quello del finanziamento di una parte del budget statunitense attraverso aumenti delle tasse e delle imposte. Ciò potrebbe mettere a dura prova l’attrattiva dei titoli azionari statunitensi, e quindi del dollaro. Inoltre, le misure di sostegno adottate negli Stati Uniti sostengono i consumi, e quindi l’inflazione, mentre i piani di stimolo in Cina e in Europa sostengono maggiormente la produzione”.

Tuttavia “altri fattori potrebbero ridurre la domanda del dollaro nel medio termine. L’attuale eterogeneità dell’economia globale fa sì che le Banche Centrali, le cui decisioni puntano a regolare l’attività economica e l’aumento dei prezzi influenzando il livello dei tassi d’interesse, conducano politiche diverse. Inoltre, a differenza di alcuni loro pari, le autorità monetarie statunitensi appaiono pazienti, persino attendiste, poiché ritengono che l’aumento dei prezzi sia solo transitorio e che non sia quindi necessario aumentare i tassi d’interesse a breve termine”. 

Questa nuova modalità di reazione della Federal Reserve, “che consiste nel lasciare correre l’inflazione prima di intervenire, ha anche un ulteriore impatto sul dollaro statunitense. Bisogna infatti tenere presente che l’inflazione erode il valore temporale di una valuta: con l’aumento dei prezzi, un dollaro non consente di acquistare domani gli stessi beni e servizi acquistati oggi”.  

“L’atteggiamento della Fed – conclude Thozet - solleva inoltre interrogativi riguardo alla sacrosanta indipendenza della Banca Centrale nei confronti del governo, dal momento che la Fed finanzierà una parte del budget record statunitense acquistando circa un quarto del debito emesso quest’anno. Questi dubbi sono alimentati anche dalla nomina al governo di Janet Yellen, ex presidente della Federal Reserve”.

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