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Vola l’inflazione Usa, aumentano i timori di recessione

7/14/2022

Non si ferma la corsa dell’inflazione negli Stati Uniti, che a giugno è salita del 9,1%, superando le attese che si fermavano all’8,8%, attestandosi al livello più alto dal 1981. Quali sono le implicazioni per l’economia americana e cosa aspettarsi dalla Fed?


Non si ferma la corsa dell’inflazione negli Stati Uniti, che a giugno è salita del 9,1%, superando le attese che si fermavano all’8,8%, e soprattutto attestandosi al livello più alto dal 1981. Quali sono le implicazioni per l’economia americana e cosa aspettarsi dalla Fed?  

 

“Per la Federal Reserve, questi dati sull'inflazione equivalgono a un allarme rosso” avverte Tiffany Wilding, US economist di PIMCO. “L'inflazione core sembra ampiamente consolidata tra beni e servizi e, di conseguenza, abbiamo alzato le nostre previsioni per l'inflazione IPC core e ora prevediamo che chiuda il 2022 al 5,5%. Prevediamo che il FOMC annuncerà almeno un altro rialzo di 75 punti base a luglio e a settembre, mentre ora è probabile anche un rialzo di 100 punti base. I dati di oggi aumenteranno la fiducia dei membri della Fed che una politica monetaria restrittiva sia opportuna. Allo stesso tempo, il dato odierno sull'inflazione dovrebbe anche aumentare le probabilità di recessione, che ora stimiamo probabile prima piuttosto che poi e che stimiamo come forse più grave”.

 

“Per quanto riguarda i dettagli del rapporto odierno, l'IPC principale è aumentata dell'1,3% mese su mese, più delle nostre aspettative e di quelle del consenso. Quel che è peggio, anche se i prezzi dei generi alimentari e dell'energia hanno raggiunto il picco a giugno, le pressioni inflazionistiche di fondo sono apparse in accelerazione” prosegue l’economista. “L'aumento mensile dei prezzi degli affitti e degli OER (Owner-Equivalent Rent) – i fitti figurativi - ha subito un'ulteriore accelerazione e sembra destinato a rimanere su livelli di inflazione elevati almeno fino alla fine dell'anno. Di conseguenza, ci aspettiamo che il tasso annuo di affitti e OER acceleri fino all'8%, ben al di sopra del 3,5% del trend pre-pandemia. Al contrario di quanto si possa pensare, i rialzi dei tassi tendono a stimolare l'inflazione degli affitti in un primo momento, perché rendono meno conveniente avere una casa di proprietà. Solo quando l'inflazione dei prezzi delle abitazioni inizia a ridursi concretamente, anche l'inflazione degli affitti inizia a diminuire. L'inflazione dell'IPC (Indice dei Prezzi al Consumo) tende a ritardare di 3-6 trimestri l'andamento del mercato immobiliare”.

 

Nel frattempo, si sono riscontrate pochissime evidenze di ribasso sui prezzi nelle categorie di beni di base, nonostante l'aumento dei livelli delle scorte e il rallentamento dei consumi reali di beni. Il nostro dato aggregato sull'inflazione dei beni al dettaglio ha registrato una nuova accelerazione a giugno, mentre anche l'inflazione del settore auto è rimasta stabile. “A dire il vero, nonostante i dati odierni, riteniamo che le tendenze inflazionistiche nei mercati dei beni di base siano probabilmente moderate - i prezzi all'ingrosso dei veicoli usati hanno ripreso a scendere alla fine di giugno, mentre i rapporti tra vendite e scorte sono aumentati in diverse categorie al dettaglio, e gli Stati Uniti sembrano essere vicini alla recessione dei trasporti. Tuttavia, la ri-accelerazione su larga scala degli ultimi mesi suggerisce che l'inflazione è meno sensibile alla moderazione della domanda reale”.

 

Quali sono le implicazioni più ampie? L’economista rileva che per la Fed, il dibattito sulla politica monetaria si è spostato da "è appropriata una politica monetaria restrittiva?" a "quanto restrittiva?". “La regola di Taylor suggerisce che il tasso dei Fed funds dovrebbe essere del 6% o più (a seconda della variante della regola utilizzata) per moderare l'inflazione e riportarla al target. Ora, ci sono ancora molte riserve su queste regole, tra cui il fatto che non siano adatte a gestire gli shock dal lato dell'offerta. Tuttavia, come minimo l'attuale livello del tasso dei Fed funds, ancora accomodante, appare fuori sincrono rispetto alla situazione economica e alle pressioni inflazionistiche interne agli Stati Uniti”.

 

“È evidente che le pressioni inflattive si stanno ampliando al di fuori degli elementi centrali dell’indice (energia, beni di consumo escluso il food) per diventare persistenti nei salari, negli affitti, nella sanità e nell’educazione” osserva Lale Akoner, senior market strategist di BNY Mellon Investment Management. “Le interruzioni delle filiere globali sono state uno dei principali fattori che hanno contribuito agli elevati dati sull’inflazione, ma è evidente che anche la domanda deve diminuire, e il compito per riuscirci spetta ai rialzi dei tassi Fed. In ultima analisi, la Fed dovrà controllare l’inflazione rallentando la crescita economica quanto basta per ridurre la crescita dei salari. Non ci aspettiamo quindi dei dati robusti sull’occupazione verso la fine dell’anno. Crediamo che la Fed dovrà muovere i tassi in territorio restrittivo molto prima di quanto si pensasse in precedenza. Per questo è stato effettuato il rialzo di 75 bps a luglio, e altri due rialzi di 50 punti base l’uno sembrano plausibili entro fine anno”.

 

Da parte sua Tiffany Wilding conclude che un inasprimento monetario più rapido “aumenta anche la fiducia nella nostra previsione di recessione. Riteniamo che la recessione negli Stati Uniti sia più probabile che non nei prossimi 12 mesi e che, con una politica monetaria più restrittiva, la contrazione sarà probabilmente più grave”.

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