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L'economia cinese resta vulnerabile

7/26/2022 | Redazione Advisor

Secondo Moneyfarm, la disoccupazione, il Covid-19 e la crisi immobiliare sono i principali fattori che mettono a rischio la ripartenza del Paese


Livelli di disoccupazione giovanile sopra la media, mercato immobiliare in crisi ed economia fiacca stanno mettendo sotto pressione Pechino. Il Pil del trimestre aprile-giugno è cresciuto solo dello 0,4% rispetto al 2021. Si tratta del peggior risultato per la Cina dal 1992, escludendo la contrazione del 6,9% registrata nel primo trimestre del 2020, a causa della prima ondata di Covid. L’aumento previsto dell’1% non è stato raggiunto e la crescita del 4,8% del primo trimestre è solo un lontano ricordo. Parola di Roberto Rossignoli, portfolio manager di Moneyfarm.

 

Che il Dragone stia vivendo un momento economico non particolarmente brillante è stato rimarcato anche dall’Agenzia di statistica cinese, che ha evidenziato come la pressione al ribasso sull'economia è aumentata in modo significativo a partire dal trimestre di giugno: le basi di una ripresa economica sostenuta non sono stabili. Le incertezze economiche potrebbero però avere ripercussioni anche sul Partito comunista che oggi si trova in un momento particolarmente delicato. In Cina si terrà, infatti, il congresso del Partito proprio nel 2022 e la presenza di un’economia fiorente e forte rientrava nel patto che i cittadini cinesi avevano sottoscritto con l’attuale governo. Ma l’economia vacilla. E sembra che non si possa replicare la ripresa quasi immediata sperimentata dopo la prima ondata di Covid-19 nel 2020. Ci sono, infatti, diversi indicatori che non giocano a favore: la disoccupazione giovanile è vicina ai livelli più alti mai registrati, il mercato immobiliare è in crisi di identità e le piccole imprese stanno sopportando il peso maggiore della debolezza della spesa interna. 

 

A giugno la produzione industriale cinese è aumentata del 3,9% anno su anno, non rispettando il consenso del mercato del 4,1%. In crescita, però, la produzione per il settore manifatturiero (3,4% contro 0,1% a maggio), per quello dei servizi pubblici (3,3% contro 0,2%), e per la produzione mineraria (8,7% contro 7,0%).

 

Il mercato immobiliare cinese è da fine 2021 che sta vivendo momenti non facili. Le manifestazioni di protesta e le tensioni immobiliari non preannunciano nulla di buono. Già la crescita economica del Dragone ha subito un forte rallentamento nel secondo trimestre, se a questo si aggiungono poi i timori per una recessione globale, per tenere a bada l’inflazione galoppante in Usa e Europa, la situazione di certo non è destinata a migliorare.

 

La disoccupazione giovanile è salita al 19,3% a giugno. Dato che rappresenta un nuovo record (tutto negativo) per il Dragone. Inoltre, a marzo e ad aprile sono stati imposti blocchi totali o parziali nei principali centri del Paese, inclusa Shanghai, che ha registrato una contrazione del Pil del 13,7% su base annua nel secondo trimestre. La produzione nella capitale si è, infatti, ridotta del 2,9% su base annua. L’aspetto positivo è che a giugno molte restrizioni sono state revocate e i dati economici hanno mostrato segni di miglioramento, ma non sembra probabile una rapida ripresa economica, come è avvenuto subito dopo la prima ondata di Covid-19. L’obiettivo ufficiale di crescita era di circa il 5,5% per il 2022. Livello che sarà difficile raggiungere se continuerà a restare in vigore la strategia zero-Covid. Le previsioni parlano, infatti, di un rallentamento del 4% e i mercati finanziari cinesi sono inquieti, le azioni ondeggiano, mentre lo yuan è sceso al minimo (contro il dollaro) dal settembre 2020.

 

La Cina sta iniziando ad uscire lentamente da lunghi mesi di lockdown totale (conseguenza della sua politica zero Covid), e a giugno l’economia ha mostrato segni di ripresa, ma rimangono due rischi principali. In primo luogo, il governo non ha cambiato la propria no-covid policy, che dovrebbe portare ad altre chiusure in caso di nuove ondate del virus. In secondo luogo, l’esecutivo cinese non sembra aver cambiato la propria posizione di nazionalizzazione delle aziende quotate, che l’anno scorso ha portato volatilità sui mercati. Nonostante quest’area geografica risulti tra le più convenienti, in termini di prezzo/utili, ad esempio, per ora rimaniamo in fase di monitoraggio. I rischi legati a nuove possibili ondate Covid-19 e alla narrativa politica rimangono troppo alti, anche a fronte della devalutazione degli ultimi due anni.

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