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Banche centrali unite per contrastare l'inflazione

7/28/2022 | Redazione Advisor

Il team Advisory di Pictet AM ha analizzato scenari e conseguenze di questo particolare momento storico caratterizzato da volatilità elevata e rallentamento della crescita


Lo scopo principale delle banche centrali è ormai chiaro, combattere l'inflazione anche a costo di mettere a rischio la crescita economicaAndrea Delitala (in foto), head of euro multi asset e Marco Piersimoni, senior investment manager di Pictet Asset Management, hanno analizzato lo scenario economico attuale e l'impatto che queste misure hanno sulla crescita.

 

Il dato sopra le attese registrato dal livello dei prezzi americani nel mese giugno (+9,1% anno su anno) lascia poco spazio all’interpretazione: per vedere il superamento del picco massimo di inflazione e delle conseguenze ch’esso comporta, bisogna attendere. Alla conferma di un contesto stagflattivo, decretato dalla revisione a ribasso delle stime di crescita da parte del Fondo Monetario Internazionale (negli Stati Uniti, dal 4% di gennaio 2022, al 2,3% di luglio) si è presto affiancato il timore di un rischio recessione globale, dettato dall’innescarsi di crisi consecutive (l’ultima delle quali, quella energetica) e dall’azione restrittiva congiunta delle banche centrali. "In tal senso, - spiegano gli esperti - il mercato americano appare oggi diviso tra due fuochi: da un lato, l’analisi macro data dall'insieme dei principali indicatori economici, che mostra una tenuta dei fondamentali, coerenti con una probabilità oggettiva di recessione ancora al di sotto della soglia di guardia; dall’altro, le probabilità implicite di recessione, che rivelano un sentiment di mercato più preoccupato. Alla base di questa incongruenza ci sarebbe la fermezza delle parole della Federal Reserve, pronta ad attuare un ‘Whatever It Takes’ sul contenimento dei prezzi, sacrificando se necessario una parte di crescita economica".

 

"Per studiare quali scenari si prospettino all’orizzonte - aggiungono Delitala e Piersimoni - è opportuno risalire alle componenti base del tasso di inflazione: la prima, il cosiddetto ‘base effect’ di natura tecnica, la seconda, i fattori sensibili legati alla scia lunga del Covid-19, la terza, la componente più pura dell’inflazione, quella legata ai consumi, si sta consolidando, pur non destando particolari preoccupazioni. In generale, i mercati sono oggi accomunati da una incapacità di previsione, che si lega alla stratificazione di più shock. Parliamo di shock stagflattivi, capaci di frenare la crescita economica impattando però al contempo sul rialzo dell’inflazione. Il riassorbirsi di alcune di queste pressioni nel corso dei prossimi 12 mesi potrebbe portare a un ridimensionamento del sentiero di crescita dei prezzi verso un più accettabile livello del 3%. A sua volta, il rientro dell’inflazione, comporterebbe un maggior respiro per le valutazioni, anche se i tempi per una schiarita non sembrano ancora sufficientemente maturi".

 

I manager di Pictet AM Italia sottolineano che "oggi il mercato appare più sereno. Quel che si registra è infatti un primo allentamento delle strozzature lato catene di approvvigionamento, mostrato anche dal calo a giugno dell’indice Baltic Dry per il trasporto dei noli marittimi (oggi circa - 40% rispetto al picco di fine maggio). Il problema, a questo punto, resta soprattutto europeo: nel Vecchio Continente è ovvio a tutti che, se si prosegue e si va fino in fondo con le sanzioni alla Russia (privando l’economia di una parte o tutto del gas proveniente da Mosca), i Paesi europei potrebbero avvicinarsi con maggior velocità al rischio recessione. 

 

Lato banche centrali, la direzione è ormai stata presa. Jerome Powell ha chiarito che, costi quel che costi, l’attuale priorità resta la stabilità dei prezzi, in un contesto in cui la piena occupazione, secondo mandato dell’istituto americano, non sembra destare preoccupazioni. Per farlo, la Fed si è detta pronta a portare i tassi di interesse fino al 4% per poi ridimensionarsi nei periodi appena seguenti. Questo configura un aumento dei tassi di interesse che va oltre il livello di neutralità (fissato ora al 2,5% circa) anche se ciò significherà un rallentamento dell’economia. Il mercato, dal canto suo, sembra ritenere che un miglioramento del livello di inflazione arriverà abbastanza rapidamente.

 

"Tassi di interesse ed inflazione sono cruciali non solo per gli investimenti obbligazionari ma anche per quelli azionari", spiegano gli esperti. "Il loro ruolo è duplice: tassi e dinamica dei prezzi influenzano sia i fondamentali, gli utili, che le valutazioni. Sul fronte tassi, molto di quanto visto ha già impattato le valutazioni azionarie. Concentrandoci ora sull’inflazione, generalmente, supporta le vendite delle aziende, mentre la crescita reale sostiene i margini: nel momento in cui si registra un deterioramento delle prospettive di crescita e di inflazione, il fatturato delle aziende ne risente solo in parte, mentre i margini sono impattati con maggior vigore".

 

Più nello specifico, per comprendere dove potrebbero risiedere le aree di debolezza, gli esperti confrontano il peso dei settori all’interno dell’indice americano MSCI USA in base alla capitalizzazione di mercato ed alla quota di utili. Partendo dalle market cap, circa il 50% del mercato Usa è composto da settori tipici dello stile growth, il 25% da titoli ciclici (industriali, energetici e finanziari) e un altro 25% da titoli difensivi (real estate, utilities, consumi di base e farmaceutici). Investire nell’indice significa quindi assumersi tale esposizione. La crescita degli utili dell’indice è generata per il 60% dai titoli dello stile growth: il rischio dell’investimento nel listino americano è nelle eventuali delusioni in questa area. Diverso è il caso dell’Europa: il 40% del listino è ciclico, e questo contribuisce per un terzo alla crescita prevista degli utili (+8%): l’eventuale peggioramento della crisi dell’energia con i conseguenti razionamenti all’industria avrebbero un impatto pesante soprattutto in questa area.

 

"Il 2022 si è aperto come un anno difficilissimo da affrontare sui mercati. L’azione stringente della Fed è diventata il market mover per tutto il negoziabile in ambito UCITS, e ha spinto a mosse più brusche le altre major tra gli istituti centrali. Le strategie prudenti hanno dovuto fare i conti con il venir meno della classica relazione inversa tra equity e bond, che ha annullato il ruolo di diversificatore della componente obbligazionaria. Su tale fronte, - concludono Delitala e Piersimoni - stanno progressivamente venendo meno i rischi legati a un aumento troppo brusco e repentino sui tassi di interesse, ma permangono quelli connessi a un possibile peggioramento dei fondamentali qualora una recessione avesse luogo. Si ribadisce quindi cautela sul fronte del credito, specie americano, che tende ad avere meno duration e più rischio, mentre si iniziano ad aprire finestre per un aumento del peso sulla parte più lunga della curva a 10 e 30 anni, scadenza quest’ultima entrata di recente per la prima volta a far parte del portafoglio MAGO". 

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