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Italia, S&P prevede una lieve recessione nel 2023

9/27/2022 | Redazione Advisor

Secondo l’agenzia di rating “il nuovo governo si trova di fronte a scelte difficili”. Nel 2024 prospetta una ripresa dell’1,5%


“Il nuovo governo italiano si trova di fronte a scelte difficili tra recessione europea e debito elevato”. E’ quanto si legge sull’S&P Global Ratings. A causa dell'aumento dei prezzi dell'energia e dell'indebolimento della domanda globale, S&P Global Ratings prevede “una lieve recessione in Italia il prossimo anno, con una contrazione del PIL dello 0,1% prima di una ripresa dell'1,5% nel 2024. Lo spazio fiscale dell'Italia è limitato, con un debito pubblico netto nel 2022 dovrebbe attestarsi a poco meno del 138% del PIL e un deficit pubblico previsto al 6,3% del PIL per quest'anno. Tuttavia, non prevediamo rischi fiscali immediati dalla transizione al nuovo governo”.  

La previsione di base di S&P è che “il nuovo governo appronti la legge di bilancio 2023 entro la fine di ottobre e la sottoponga al Parlamento a novembre, nel rispetto degli obiettivi fiscali specificati nel programma di stabilità dell'attuale governo, pubblicato nell'aprile 2022. La chiave per la ripresa economica (e indirettamente per le finanze pubbliche) nel 2023-2024 sarà l'attuazione da parte del nuovo governo delle riforme previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza per consentire l'erogazione dei restanti 145 miliardi di euro dei 191 miliardi di euro totali (10% del PIL) in prestiti e sovvenzioni del Fondo di ripresa e resilienza dell'UE”.

“Durante la campagna elettorale - si legge sempre nel bollettino emesso a seguito del voto - Giorgia Meloni, leader di Fratelli di Italia, ha manifestato interesse per le revisioni degli impegni italiani", ma, sottolinea S&P, "a nostro avviso, un’eventuale riapertura potrebbe causare un ritardo nelle erogazioni programmate e aumentare l'incertezza sulle prospettive economiche in un momento in cui le condizioni di finanziamento delle famiglie italiane e dello Stato continuano a restringersi". Inoltre una possibile rinegoziazione "potrebbe anche essere dannosa per le finanze degli enti locali e regionali italiani".

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