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Disinflazione, il costo da pagare è la recessione negli USA

12/1/2022 | Redazione Advisor

Gilles Moec (AXA IM): “Questo perché, oggi, le banche sono giunte alla conclusione che solamente riportando la domanda al di sotto del livello già basso dell’offerta saranno in grado di riportare l’inflazione intorno al 2%”


“Il 2022 è stato caratterizzato dallo shock inflazionistico. Non tanto perché, erodendo il potere di acquisto e i margini aziendali, l’inflazione ha frenato consumi e investimenti (la spesa privata in realtà ha tenuto bene nei Paesi sviluppati, vista la situazione), bensì poiché ha contrassegnato la fine di un’era per la politica monetaria”. Gilles Moec, AXA group chief economist e head of AXA IM Core Investments Research, ricorda che “la Federal Reserve è passata rapidamente da una politica estremamente accomodante alla stretta in meno di un anno. In abbinamento al Quantitative Tightening, si è trattato della massima contrazione delle condizioni finanziarie dalla crisi finanziaria globale del 2008-2009”.

Sul fronte dell’Eurozona, “l’inflazione è ancora trainata dalle dinamiche dell’offerta (in particolare dal prezzo del gas), che difficilmente possono essere condizionate dalla politica monetaria, per cui l’approccio della Bce si concentra esplicitamente sull’ancoraggio delle aspettative inflazionistiche. Tuttavia, a nostro giudizio, il nuovo orientamento favorevole ai rialzi dei tassi dipende in buona parte dalla svalutazione dell’euro”.

“L’economia mondiale - spiega il manager - si sta adattando al rafforzamento del dollaro correlato alla politica della Federal Reserve. La Bce è una delle banche centrali che ne risentono di meno. Le banche centrali dei mercati emergenti hanno dovuto intervenire di più, e abbiamo assistito a rialzi cumulativi superiori ai 1.000 punti base in alcuni Paesi Emergenti (Brasile, Ungheria), dove la portata della stretta monetaria graverà sulla domanda locale, in particolare quando la politica fiscale dovrà adattarsi all’aumento dei costi di rifinanziamento dei titoli di Stato (in particolare in Brasile). I Paesi che hanno deciso di non difendere la propria valuta e hanno invece tagliato i tassi ora si trovano di fronte a una dolorosa iperinflazione, come la Turchia”.

“La Cina - sttolinea l’esperto - rappresenta un’eccezione. Sebbene il tasso di cambio sia in parte sceso, Pechino ha potuto adottare una politica monetaria più accomodante a fronte di un’inflazione contenuta. Eppure le autorità cinesi sono riluttanti a intervenire, nel timore di aggravare i rischi per la stabilità finanziaria, e non sono ancora riuscite a mettere la parola fine alla politica ‘zero Covid’ che nel 2023 potrebbe creare ancora qualche problema correlato alla pandemia. Il contributo della Cina alla crescita globale resterà, a nostro giudizio, limitato. Ci troviamo dunque di fronte a un rallentamento dell’economia mondiale dovuto agli interventi di politica monetaria. L’intensità e la durata della stretta dipenderanno naturalmente dalla velocità della disinflazione all’epicentro del problema, ovvero l’economia statunitense”.

“Nell’autunno del 2022 – ricorda il gestore - abbiamo rilevato qualche timido segnale di raffreddamento del mercato del lavoro che potrebbe portare a una decelerazione dei salari nel 2023, come vorrebbe la Federal Reserve. Il ‘picco inflazionistico’ probabilmente è già stato raggiunto, per cui i rialzi dei tassi potrebbero essere meno rapidi, la distanza dal target e il rischio di nuovi squilibri sono però ancora alti per cui il ‘tasso terminale’ non è ancora stato raggiunto (crediamo che arriverà al 5%). Questo significa che, visto il ritardo della trasmissione, la politica monetaria per tutto il 2023 resterà probabilmente più restrittiva rispetto al secondo semestre del 2022. Ciò si basa sulla convinzione che la Fed non intende tagliare i tassi prima di essersi assicurata di aver fermato l’inflazione". 

“Il prezzo da pagare - conclude Moec - sarà una recessione negli Stati Uniti nei primi tre trimestri del 2023 che avrà ripercussioni sull’intera economia mondiale il prossimo anno. Questo perché, oggi, le banche sono giunte alla conclusione che solamente riportando la domanda al di sotto del livello già basso dell’offerta saranno in grado di riportare l’inflazione intorno al 2%. Solo con il sacrificio si possono ottenere grandi risultati”.

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