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Dalla delocalizzazione alla rilocalizzazione

3/14/2023 | Redazione Advisor

Secondo gli esperti di Capital Group la Cina non verrà soppiantata come principale base produttiva del mondo, ma verrà adottata la "strategia Cina+1”


La Cina non verrà soppiantata come principale base produttiva del mondo, bensì verrà adottata la "strategia Cina+1": verranno mantenute le attività in Cina aggiungendo nuovi impianti altrove. Tra gli altri possibili paesi e settori che beneficeranno di questo nuovo orientamento troviamo India, Messico, i fornitori di automazione e le multinazionali. È l’analisi di Rob Lovelace, vice chairman e president di Capital Group, sul processo di rilocalizzazione e diversificazione delle catene di approvvigionamento

 

“Nel 2023, molte società — in alcuni casi spinte da massicce sovvenzioni governative — stanno compiendo grandi passi per diversificare le loro catene di fornitura, privilegiando l'affidabilità e la solidità rispetto a costi ed efficienza” osserva Lovelace. “Ciò significa riportare in patria parte della produzione, o "rilocalizzarne" e spostarne una parte in altri Paesi. Tale tendenza ha fatto sorgere il dubbio in merito a un’eventuale deglobalizzazione del mondo. Tuttavia, sulla base dell'attività commerciale degli ultimi anni, il nuovo percorso sembra più che altro un adeguamento calibrato delle catene di approvvigionamento globali, parzialmente interrotto dalla pandemia e dalla crisi finanziaria del 2007-2009”.

 

In questo contesto di diversificazione delle catene di approvvigionamento, secondo Lovelace una convinzione comunemente errata è che la Cina possa essere soppiantata come principale base produttiva del mondo. “Molte società stanno invece adottando una "strategia Cina+1", mantenendo le attività in Cina e aggiungendo nuovi impianti altrove. È probabile che gli investimenti crescenti in Cina si concentrino principalmente sul mercato interno, mentre gli investimenti aggiuntivi in altre località si rivolgono al resto del mondo”.

 

Una domanda fondamentale è se la strategia Cina+1 sarà scalabile o meno. È possibile aggiungere un nuovo stabilimento in India o Messico, ad esempio, e aumentare la produzione secondo necessità? La manodopera e l'energia elettrica sono sufficienti? È disponibile l'infrastruttura logistica? Il management è in grado di gestire la maggiore complessità? “Sono queste le domande su cui ci stiamo concentrando – chiarisce Lovelace – mentre ricerchiamo tali sviluppi e opportunità di investimento. Non tutte le società riusciranno a farlo nel modo giusto”.

 

“In effetti, il flusso di investimenti crescenti è un parametro importante da monitorare per gli investitori” prosegue Lovelace. “Secondo un'indagine condotta nel 2021 dall'AmCham Shanghai sulle società straniere che operano in Cina, le principali destinazioni degli investimenti reindirizzati erano il Sud-est asiatico, il Messico, l'India e gli Stati Uniti. Tuttavia, solo 63 delle 338 società intervistate hanno dichiarato di avere piani di questo tipo, il che suggerisce che il processo di rilocalizzazione potrebbe essere più lento e ponderato di quanto alcuni operatori del mercato si aspettino. Potrebbe volerci un decennio prima che le società effettuino una transizione completa. Il processo però è certamente iniziato e crediamo che sarà uno dei temi di investimento più importanti degli anni 2020.

 

Con un'impresa di tale portata, le implicazioni per gli investimenti sono diffuse in settori e aree geografiche differenti. Secondo Lovelace sono quattro le aree che si prevede beneficeranno della rilocalizzazione nei prossimi anni.  Innanzitutto l’India. Grazie alla sua vicinanza alla Cina, a una forza lavoro ben istruita e a un'economia in rapida crescita e favorevole alle imprese, l'India potrebbe essere il Paese meglio posizionato per trarre vantaggio dalla diversificazione della catena di approvvigionamento. Poi il Messico: analogamente all'India, la sua vicinanza a una delle maggiori economie mondiali lo rende una base interessante per l'espansione delle attività produttive e logistiche. In terzo luogo i fornitori di automazione: uno dei maggiori ostacoli alla diversificazione delle capacità produttive mondiali è la cronica carenza di manodopera, soprattutto nelle economie sviluppate. L'automazione alimentata dall'intelligenza artificiale (IA) potrebbe rappresentare una soluzione a questo problema. Infine, le multinazionali: le società ben gestite manterranno i loro impianti di produzione e le loro basi di clienti a livello globale, ma aumenteranno sempre più la propria presenza a livello locale nelle loro operazioni. “La definiamo ‘multi-localizzazione’. Essa implica il ritorno di alcuni segmenti della catena di fornitura negli Stati Uniti, continuando a esternalizzarne altri e creando nuovi impianti di produzione in aree chiave in tutto il mondo”.

 

“Se c'è una lezione che abbiamo appreso dalla crisi di Covid, è che le società devono disporre di catene di fornitura diversificate. Non ci siamo già giunti ancora a quel punto, ma il processo è ben avviato” conclude Lovelace.

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