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La Turchia tra inflazione, svalutazione e mercati

6/13/2023 | Redazione Advisor

Le crescenti pressioni del mercato potrebbero obbligare la banca centrale turca a considerare un rialzo dei tassi per evitare i rischi a carico della stabilità finanziaria. L’analisi di Capital Group


Al secondo turno delle elezioni presidenziali in Turchia il Presidente in carica Recep Tayyip Erdoğan ha ottenuto il 52,14% dei voti contro il 47,86% del candidato dell’opposizione Kemal Kilicdaroglu ed è stato dichiarato vincitore dal Supremo consiglio elettorale della Turchia. Nel frattempo, l’Alleanza del popolo, l’attuale coalizione al potere capeggiata da Erdoğan, ha confermato la sua maggioranza in parlamento il 14 maggio e dunque il proseguimento del governo ventennale del Presidente Erdoğan. In base alla costituzione, quest’ultimo potrà rimanere alla presidenza solo per altri cinque anni – ossia fino al 2028 – dopodiché non potrà più essere rieletto. Robert Burgess, gestore di portafogli obbligazionari di Capital Group, analizza le implicazioni del risultato elettorale sulla politica economica del Paese e sui mercati.

 

“Le crescenti pressioni del mercato potrebbero obbligare la banca centrale (CBRT) a considerare un rialzo dei tassi per evitare i rischi a carico della stabilità finanziaria” osserva Burgess. “Saranno probabili la continuazione di una politica monetaria estremamente accomodante, provvedimenti amministrativi volti a garantire finanziamenti a basso costo per il governo e a porre un limite alla dollarizzazione, l’impiego del bilancio pubblico per assorbire il rischio di cambio dal settore privato nonché finanziamenti dall’estero a supporto della bilancia dei pagamenti”. 

 

Burgess rileva che se da un lato questo mix di politiche ha favorito una crescita trainata dai consumi, ha anche determinato “deficit gemelli (fiscale e delle partite correnti), il deprezzamento della valuta, un calo delle riserve estere a livelli pericolosamente ridotti e un’inflazione persistentemente elevata (con una media superiore al 30% annuo negli ultimi 5 anni)”.

 

Per quanto riguarda il debito estero, gli spread appaiono contratti: “gli spread turchi appaiono contratti rispetto ad altri Paesi con rating B, dopo la marcata contrazione avvenuta nel 2022. La ragione potrebbe essere stata la domanda locale di asset denominati in dollari. Tuttavia, il passaggio del governo verso il finanziamento in dollari potrebbe determinare un’offerta in eccesso per i prossimi anni ed esercitare pressione al rialzo sugli spread”.

 

Quanto al tasso di cambio, “dopo un calo del 30% nel 2022, la lira si è indebolita dell’8% circa dall’inizio dell’anno. La costante vendita di riserve estere per supportare la moneta non è sostenibile. A meno di una virata verso politiche economiche più rigide che porrebbero un freno al deficit delle partite correnti, possiamo aspettarci un ulteriore deprezzamento della valuta”.

 

Quanto infine agli effetti sulle obbligazioni in valuta locale, secondo Burgess i tassi di interesse reali negativi e l’indebolimento della valuta non sono una combinazione interessante per questa asset class. “Ciononostante – conclude – i provvedimenti normativi che richiedono alle banche di detenere più titoli di Stato hanno spinto al ribasso i rendimenti in valuta locale. A un certo punto la situazione potrebbe cambiare, i tassi di interesse dovranno essere alzati e i rendimenti locali saliranno di conseguenza” . 

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