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Risparmio, l'Italia crede ancora nei "porti sicuri"

11/1/2014

Fondi comuni, questo sconosciuto. Sembra essere il messaggio emerso dall'indagine Acri presentata in occasione della 90° Giornata Mondiale del Risparmio. Tra il 2004 e il 2014 il mattone ha lasciato il posto a bot e libretti postali. Mentre i fondi....


Ormai da mesi, forse anni, i professionisti dell'industria del risparmio gestito affermano a gran voce che i porti sicuri non esistono più. Ma a leggere i dati dell'indagine Acri resa pubblica in occasione della 90° Giornata Mondiale del Risparmio sembra che nessuno lo abbia riferito agli italiani: alla domanda "alla luce dell'attuale situazione economica, in quale di questi modi è meglio investire i propri risparmi?" il 36% ha risposto in strumenti finanziari più sicuri. E di questi il 26% ha espressamente indicato i titoli di stato, le obbligazioni, i libretti di risparmio e i buoni fruttiferi. Solo il 6% ha indicato i fondi comuni (tra l'altro classificati dall'indagine come strumenti finanziari più a rischio) e ben un italiano su tre (32%) ha affermato: meglio non investire.

 

Se ci si ferma a questo dato sembrerebbe che in Italia, nonostante la crisi, non sia cambiato nulla: le famiglie non amano il mondo del risparmio gestito, non lo conoscono e se proprio devono investire preferiscono ancora guardare a titoli di stato e libretti di risparmio. In parte forse è vero, ma in realtà se si guarda all'andamento della propensione agli investimenti dal 2004 qualcosa è cambiato ma non nella direzione sperata dall'industria del risparmio gestito.

 

Dati alla mano, infatti, tra il 2004 e il 2014 la percentuale di italiani che ha affermato di preferire titoli di stato e libretti di risparmio ad altre forme di investimento è più che triplicata passando dall'8% al 26%. Certo sono triplicati anche gli amanti dei fondi comuni ma il passaggio è stato solo dal 2% al 6% delle famiglie. 

 

Scelte condizionate principalmente dall'abbandono di quello che per anni è stato considerato dagli italiani come l'unico investimento utile: la casa. Se infatti, nel 2004 il 70% delle famiglie affermava di voler investire negli immobili, oggi questa percentuale è ferma al 24%. Ma chi ha abbandonato la strada del mattone evidentemente non ha ricevuto l'informazione che i porti sicuri non esistono più e ha optato principalmente o per i vecchi bot o per il "materasso", visto che tra il 2004 e il 2014 la quota di "non investitori" è passata dal 16% al 32%.

 

Sono solo statistiche? Vero. E non vanno certamente considerate come foriere della verità assoluta, ma un'indagine con una storia così lunga, come quella dell'Acri, trasmette comunque un messaggio importante (e in parte disarmante): gli sforzi che in questi anni sono stati realizzati per diffondere una maggiore cultura finanziaria non hanno ancora raggiunto l'esito sperato. Il numero di italiani che conoscono il mondo dei fondi comuni non è in realtà cresciuto, ci siamo solo riportati ai livelli del 2001 quando già c'era un 7% di famiglie italiane che consideravano questi strumenti come il miglior investimento possibile. La vera sfida si apre adesso per l'industria: riconquistati i vecchi investitori ora tocca avvicinare al mondo del risparmio quel 30% di italiani che si dichiara propenso a investire, non cerca più il mattone, ma ancora sogna, e crede nel porto sicuro.

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