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Eurozona, verso due decenni di stagnazione stile Giappone

9/23/2019 | Daniele Riosa

Burgess di Columbia Threadneedle Investments evidenzia le analogie tra il Vecchio Continente e il Paese asiatico


Per le economie sviluppate, soprattutto quella dell’Eurozona, si prospetta una stretta creditizia o un lungo periodo di crescita e inflazione contenute, analogo a quello osservato negli ultimi due decenni in Giappone? Mark Burgess, vice cio globale e cio EMEA di Columbia Threadneedle Investments, risponde che “nessuno dei due scenari appare particolarmente attraente, ma una stretta creditizia, che potrebbe innescare un lungo periodo di crescita negativa, sembra di gran lunga peggiore. Il rapporto debito/PIL potrebbe salire ulteriormente, costringendo con ogni probabilità i governi a intervenire ancora una volta, ma questa volta partendo da una posizione di debolezza dovuta al tempo insufficiente a disposizione per risanare i bilanci pubblici. Una tale prospettiva sarebbe chiaramente poco auspicabile, ma i tassi d’interesse resterebbero necessariamente bassi, il che rappresenterebbe un fattore positivo”. 

Un’altra possibilità è “una stagnazione simile a quella verificatasi in Giappone. Dalla metà degli anni ‘90 il Giappone è rimasto intrappolato in un contesto di crescita negativa o bassa e il Paese continua a lottare con la persistente deflazione; con un rapporto debito netto/PIL attualmente superiore al 235%, gli oneri da interessi restano tuttavia se non altro sostenibili. Effettivamente i tassi d’interesse pari o prossimi a zero sono un enorme conforto per le principali economie sviluppate globali; forse anche troppo. Ad esempio nel Regno Unito, malgrado livelli di debito pubblico molto più alti che negli anni ‘70 e ‘80, i costi del servizio del debito sono attualmente molto più bassi. Nel 1978, le spese per interessi sul debito pubblico britannico erano all’incirca pari al 4,8% del PIL. Oggi lo stesso dato nel Regno Unito è inferiore al 2%. Un quadro analogo emerge in USA, Francia, Germania, Italia, Canada e Giappone”.

“Le banche centrali – continua l’esperto - punteranno a mantenere bassi i tassi d’interesse, anche per far sì che i costi del servizio del debito rimangano gestibili. Se il pagamento degli interessi dovesse divenire una preoccupazione, le autorità monetarie dovrebbero poter disporre del tempo necessario per affrontare il problema e stringere la cinghia, considerata la struttura e la durata del debito. Vi è anche la possibilità di uno scenario positivo in cui un graduale aumento dei tassi sarebbe accompagnato dalla crescita economica, che annullerebbe in parte gli effetti negativi di oneri debitori elevati. Un brusco rialzo dei tassi potrebbe tuttavia rendere preoccupanti alcuni rapporti debito/PIL già elevati. In particolare, un’impennata dei tassi in Italia (dove i costi del servizio del debito sono appena gestibili) avrebbe conseguenze molto gravi per il settore finanziario locale e per la più ampia economia dell’eurozona. Rimaniamo ciò nonostante ottimisti circa l’andamento dei tassi nell’area euro, soprattutto perché non prevediamo forti spinte inflazionistiche né un’accelerazione della crescita economica, sviluppi necessari perché si abbia un aumento dei tassi d’interesse”.

L’economista ritiene infatti che “l’economia dell’Eurozona presenti forti somiglianze con quella del Giappone, ragion per cui è altamente probabile che la Regione attraverserà un lungo periodo di crescita e inflazione bassa. In primo luogo, entrambe le economie dispongono di ampi sistemi bancari che sono responsabili di circa il 70% dei finanziamenti erogati al settore aziendale, il quale è costituito soprattutto da piccole e medie imprese (PMI).  Nell’intera area euro, il calo dei tassi d’interesse non si è ancora tradotto in una crescita sostenuta dei prestiti alle aziende. Nei Paesi periferici, la crescita torna solo ora a fare la sua comparsa, a 10 anni dalla crisi. In Italia non si è ancora manifestata. Anche in Giappone c’è voluto oltre un decennio perché il credito tornasse a registrare una crescita sostenuta dopo la crisi locale, malgrado i tassi bassissimi". 

"In assenza di mutuatari aziendali, entrambi i sistemi bancari hanno inoltre accumulato titoli di Stato, alimentando la crescita del debito pubblico in rapporto al PIL”, conclude Brugges.

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