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Sull’obbligazionario il vero pericolo è l’inflazione

5/3/2016 | Brad Tank*

Finirà male la caccia al rendimento da parte degli investitori obbligazionario costretti a volgersi al mercato ad alto rendimento ed emergente?


Negli ultimi anni è circolata questa credenza secondo cui gli investitori obbligazionari siano stati costretti a volgersi al mercato ad alto rendimento e all’obbligazionario emergente a causa del rendimento eccessivamente basso delle obbligazioni “tradizionali” e che questa caccia al rendimento non possa che finire male. Una variante dice che, nel momento in cui i rendimenti obbligazionari dovrebbero salire, gli investitori sono pazzi ad usare strategie “risk parity”, in cui si usa una leva di modesta entità su portafogli diversificati, efficienti dal punto di vista del rischio e con un’elevata percentuale di obbligazioni.

Ritengo che questa credenza diffusa sia sbagliata ma forse non per i motivi che credete. Nel mio ruolo di supervisione dei portafogli obbligazionari corporate non sono impaziente di vedere una svolta nel ciclo del credito e, da responsabile degli investimenti obbligazionari, non sono un grande fan di un rialzo dei tassi di interesse. Come gestore di portafogli obbligazionari diversificati non ho bisogno che il ciclo del credito si espanda indefinitamente o che la Fed non rialzi mai più i tassi. Tutto quello di cui ho bisogno è che l’inflazione si mantenga bassa perché questo significa basse correlazioni tra gli asset.

Cinque o sei anni fa abbiamo svolto una ricerca sul comportamento dei mercati in diversi regimi di inflazione. Abbiamo scoperto che una delle principali conseguenze del persistere di un basso tasso di inflazione dalla fine degli anni ’90 era una correlazione generalmente negativa tra asset non rischiosi ed asset più rischiosi, persino durante la crisi finanziaria quando i mercati sono stati scombussolati. Può sembrare contro-intuitivo. Per 30 anni i rendimenti delle obbligazioni a lunga scadenza sono scesi ed i prezzi degli asset rischiosi sono saliti, cosa che sembra dimostrare un’alta correlazione. Si potrebbe anche supporre che un nuovo periodo di inflazione sarebbe terribile per le obbligazioni ma utile al mercato ad alto rendimento e all’azionario, dato che l’aumento dei prezzi sostiene i margini aziendali.

Questo è vero se consideriamo il lungo periodo. Tuttavia, se pensiamo alla gestione del rischio di portafoglio, è il movimento combinato dei prezzi degli asset di breve termine a contare sul serio. Considerando questo orizzonte temporale, se le attese di inflazione salgono in modo sostanziale il boom economico che ne è alla base è ininfluente: probabilmente le obbligazioni ne sarebbero colpite ma varrebbe lo stesso discorso per i titoli azionari, dato che si tratta di strumenti con duration molto lunghe i cui flussi di cassa sono scontati con i rendimenti obbligazionari a lunga scadenza.

Oltre alla diversificazione, che gli investitori possono ottenere aggiungendo asset a più alto rendimento in portafogli obbligazionari o fare leva su duration lunghe nella parte non rischiosa di portafogli risk-parity, è presente la dinamica inflattiva. Finché l’inflazione rimane bassa, se il rendimento delle obbligazioni è spinto al rialzo anche il valore degli asset rischiosi tenderà ad aumentare. E se il ciclo del credito dovesse cambiare direzione, i rendimenti obbligazionari dovrebbero calare. In questo contesto, ed anche se il ciclo del credito andasse avanti negli anni, l’alto rendimento resta un’esposizione interessante ed i Treasury, Bund, Gilt e JGB rimangono utili nonostante il loro scarso rendimento.

Tutto ciò suggerisce che gli investitori devono fare attenzione ad un’inflazione più elevata piuttosto che ad un aumento dei tassi o ad un’impennata dei fallimenti come segnale che sia arrivato il momento di riconsiderare la composizione di portafoglio. Quel segnale resta molto debole. Il petrolio sta facendo la sua ricomparsa. La scorsa settimana la Fed ha mantenuto i tassi al livello attuale e attestato che l’economia ha rallentato. Gli indici economici Usa sono diventati negativi, l’ultima stima del Pil per il primo trimestre è stata inferiore alle previsioni, al +0,5, mentre l’indice dei prezzi al consumo anno su anno a marzo è sceso dall’1% allo 0,9%.

Inoltre la scorsa settimana gli ordini di beni capitali nel primo trimestre e l’indice PMI manifatturiero ad aprile hanno toccato i loro minimi dal 2009; le vendite di nuove case e l’indice sulla fiducia dei consumatori elaborato da Conference Board hanno entrambi subito un calo. Altrove, la prima stima per l’inflazione in aprile per l’Eurozona è stata pubblicata la scorsa settimana, scendendo molto al di sotto dello zero, analogamente a quanto successo in Giappone, in cui la banca centrale ha rinviato il suo obiettivo di inflazione al 2% per la quarta volta nel corso di un anno. Fintanto che permarrà questa situazione le strategie più solide in circolazione saranno un portafoglio obbligazionario opportunistico, un portafoglio diversificato più allargato oppure uno risk-parity.

*Chief Investment Officer Fixed Income di Neuberger Berman

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