Tempo di lettura: 5min

Consulenti e fondi comuni distruggono la ricchezza

12/17/2016

È questa l'impietosa condanna che emerge dall'indagine di Mediobanca sui fondi comuni. Una critica "statistica" che forse perde di vista l'attualità.


La xxv edizione dell'"Indagine sui Fondi e Sicav Italiani (1984-2015)", realizzata dall'Ufficio Studi Mediobanca, offre diversi spunti di riflessione, come di consueto. Ma su tutti ne emergono quattro: una conferma, una novità, un difetto, una condanna. 

 

Partiamo dalla conferma. Nella valutazione dei rendimenti di lungo periodo il confronto tra fondi comuni e BOT a 12 mesi vede ancora prevalere questi ultimi. In particolare, negli ultimi 32 anni chi avesse investito in fondi comuni aperti italiani avrebbe subito, rispetto ad un impiego annuale in BOT a 12 mesi, una perdita di patrimonio poco inferiore a una volta il patrimonio iniziale, aumentato nel periodo di sole 4,15 volte contro le 5 dei BOT. Il confronto con il tasso risk free è sfavorevole anche se si guardano gli ultimi 15 o 10 anni. Nel primo caso, tra il 2001 e il 2015  i fondi avrebbero reso 1,3 punti all'anno in meno, che implicano una perdita in conto capitale del 25%, mentre in 10 anni la perdita in conto capitale sarebbe stata del 6% (0,5 punti all'anno in meno).

 

Ovvio però che lo scenario rispetto a 32, 15 o 10 anni fa è cambiato molto e non è un caso che, se si guarda agli ultimi 5 anni, il confronto fondi comuni-BOT cambia colore. Come scrivono gli esperti di Mediobanca il confronto dei fondi comuni aperti considerati nell'indagine con il tasso risk free è favorevole negli ultimi cinque anni: 0,6 punti in più all'anno che si traducono in un guadagno in contro capitale del 2,5%. Una novità, questa, che certifica il cambio dello scenario economico-finanziario che ci troviamo a gestire da ormai cinque anni.

 

Ma dietro alle conferme e alle novità nello scontro tra fondi aperti e bot si nasconde anche un difetto dell'industria italiana che, da un lato, ha il merito di aver chiuso il 2015 con una performance netta media positiva, dall'altro, ha il difetto di caricare i costi di gestione. Andiamo con ordine. A livello di rendimento medio, nel 2015 la performance dell’insieme dei 1003 fondi analizzati da Mediobanca è stata pari al’1,6%. I fondi aperti hanno segnato l’1,5%: hanno contribuito particolarmente in positivo gli azionari (6,1%) e i bilanciati (2,7%); gli obbligazionari hanno reso l’1,1%, con flessibili e fondi di mercato monetario allo 0,3%. Hanno registrato performance positive anche i fondi riservati (2,1%), gli speculativi (1,6%), i fondi pensione negoziali (2,5%) e aperti (2,9%); pure in nero, anche se con rendimenti trascurabili, i fondi di fondi (collegati 0,1%, non collegati 0,7%). 

 

Un risultato positivo che però non è stato privo di costi per i risparmiatori: sempre secondo l'indagine condotta da Mediobanca, il volume delle commissioni addebitate ai risparmiatori nel 2015, pari a 3,5 miliardi di euro, è più elevato di un quinto circa rispetto a quello dell’anno precedente (2,9 miliardi), con l’incidenza media sul patrimonio gestito salita all’1,3% dall’1,2% del 2014 (1,5% relativamente ai soli fondi comuni aperti, livello anch’esso incrementato rispetto all’1,4% dell’anno precedente). Tra questi spicca soprattutto l’incidenza dei costi addebitati agli azionari (che hanno garantito un rendimento medio del 6,1%, ma sono tornati, a livello di commissioni al massimo storico toccato nel 2013 (2,9%), gravando di mezzo punto percentuale in più rispetto al 2014 (2,4%), ovviamente per il maggior peso delle provvigioni di incentivo (0,4% contro lo 0,1% nel 2014). Una crescita dei costi che, seppur giustificata dalle performance, appare secondo i dati di Mediobanca, in controtendenza rispetto all'America dove i costi del comparto azionario risultano quattro volte inferiori rispetto a quelli nostrani. Al netto della crescita del peso delle provvigioni di incentivo forse siamo di fronte a un difetto che se corretto potrebbe avvicinare maggiormente gli investitori italiani ad un mercato - quello azionario - ancora piuttosto snobbato.

 

Questi i tre grandi elementi che dipingono un quadro di un'industria che, però, nonostante le sue naturali storture (sfido a trovare un settore privo di difetti) ha generato negli ultimi 5 anni (che sicuramente non sono stati anni lineari da un punto di vista finanziario) un surplus di rendimento rispetto ad impieghi cosiddetti "risk free" nell'ordine dei 4 miliardi di euro. Poco o tanto è forse difficile stabilirlo, ma indubbiamente il settore ha mantenuto (o almeno cercato di mantenere) le promesse fatte. Eppure, e qui emerge la condanna della ricerca firmata Mediobanca, l'industria dei fondi comuni vieni dipinta come un'industria che distrugge ricchezza. 

 

"L’industria dei fondi continua a rappresentare un elemento distruttivo di ricchezza per l’economia del Paese" scrive l'Ufficio Studi di Mediobanca. "Se in una prospettiva di 5 anni si può calcolare un surplus di rendimento rispetto ad impieghi risk-free nell’ordine dei 4 miliardi di euro, in un contesto decennale si verifica invece una distruzione di ricchezza intorno ai 20 miliardi, che diviene di ben 84 miliardi sui 15 anni. Ove si tenesse conto del premio al rischio per la componente azionaria, la distruzione di ricchezza dal 2006 al 2015 sarebbe nell’ordine dei 42 miliardi di euro, importo che aumenta a 136 miliardi considerando il quindicennio che inizia nel 2001 (tale ammontare è pari ai tre quarti circa della consistenza dei fondi aperti alla fine dell’ultimo anno)". Non solo: "Questi risultati rispecchiano le politiche di impiego liberamente scelte dai gestori (ed accettate dai risparmiatori i quali sono consigliati il più delle volte dai promotori e dalle banche)" conclude l'indagine. Quasi a voler dipingere il settore come inadatto a gestire i risparmi e inadatto a consigliare adeguatamente i risparmiatori. 

 

Una posizione che assume tinte forti e che probabilmente non considera adeguatamente lo scenario attuale in cui ci troviamo a vivere. Uno scenario che ha definitivamente cambiato i paradigmi della finanza e che ha reso difficile rispettare la speranza di molti risparmiatori di non perdere il proprio capitale. Una speranza che negli ultimi cinque anni, lo dicono le stesse statistiche di Mediobanca, ha trovato delle risposte soddisfacenti in diversi fondi comuni. E forse anche da qui nasce l'attenzione che Commissione Europea (con gli ELTIF) e Governo Italiano (con i PIR) hanno dedicato al mondo dei fondi comuni chiamati, nei prossimi anni, a trasferire sostegno e liquidità all’economia reale che ha oggi maggiori difficoltà a reperire risorse tramite il canale bancario. Risparmiatori e politica vedono quindi nei fondi un'importante risorsa generatrice di ricchezza. Forse una risorsa non perfetta, ma certo non una fonte di distruzione. Per questo crediamo che la condanna della statistica appare oggi troppo fredda e poco contemporanea.

Condividi

Seguici sui social

Advisor è la prima piattaforma interamente dedicata alla consulenza patrimoniale e al risparmio gestito con oltre 38.000 professionisti già iscritti


Accedi a funzionalità esclusive e migliora la tua esperienza di navigazione


  • Leggi articoli esclusivi
  • Salva le tue news preferite
  • Partecipa ad eventi esclusivi
  • Sfoglia i magazine in anteprima

Iscriviti oggi!

Hai già un profilo? Accedi qui

Cerchi qualcosa in particolare?