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Brexometer, il sentiment degli investitori

5/30/2018 | Greta Bisello

L'Europa ha subito il primo scossone con l'uscita del Regno Unito dall'Unione, le conseguenze sono tutt'ora tangibili, possono essere queste un monito per le sorti dell'Italia?


Il numero degli investitori istituzionali che intendono ridurre i propri investimenti nel Regno Unito ha raggiunto i minimi storici, attestandosi al 14%, con un calo del 10% rispetto alla percentuale massima del 24% riportata nel primo trimestre del 2018. Questo il risultato dell'indice Brexometer, un sondaggio trimestrale sul sentiment degli investitori istituzionali relativo all’impatto economico della Brexit di State Street Corporation (NYSE: STT).

 

“Il sondaggio riflette un periodo in cui l’ottimismo nei confronti della Brexit (e della sterlina) aveva quasi raggiunto il picco più alto”, ha affermato Michael Metcalfe, responsabile global macro strategy di State Street Global Markets. “Gli investitori hanno mostrato un calo dell’ottimismo in generale, ma allo stesso tempo hanno assunto una posizione meno pessimistica per quanto riguarda i propri investimenti nel Regno Unito. Adesso bisognerà capire se questo varrà anche nel caso in cui gli aspetti pratici, politici e non, di una Brexit più morbida vengano messi in pratica".

 

"La sterlina rimane sottovalutata rispetto alla maggior parte delle valute", ha affermato Bill Street, responsabile degli investimenti per l'EMEA di State Street Global Advisors. "La valuta si è rafforzata a marzo e all'inizio di aprile in previsione di un aumento dei tassi di interesse, per riportare nuovamente un calo sulla scia dei dati economici e della guidance del Governatore della Bank of England. Tuttavia ci aspettiamo un rialzo dei tassi, molto probabilmente ad agosto, anche se i dati dovranno necessariamente migliorare".

 

Dal referendum del 2016, il tasso di crescita dell'economia britannica è inferiore a quello di Germania e Francia. Mentre la crescita è debole, i tassi d'inflazione hanno acquisito slancio, raggiungendo livelli che i funzionari della Banca centrale europea troverebbero preoccupanti. La Bank of England si trova a dover nuovamente affrontare un problema di politica monetaria tipicamente britannico: il ritorno della stagflazione, come negli anni '70. L'aumento dell'inflazione sembra dovuto alla debolezza della sterlina, che, in seguito all'esito del referendum, si è decisamente deprezzata rispetto all'euro e al dollaro. Da quando la valuta è tornata a recuperare parte del terreno perduto, i tassi d'inflazione sono tornati a scendere, ma potrebbe trattarsi di sviluppi meramente transitori.

 

“Dopo il voto sull’uscita dall’Ue, la Gran Bretagna è divenuta piuttosto problematica per gli investitori. I titoli obbligazionari offrono rendimenti insufficienti a compensare l'inflazione e i vantaggi della Brexit raccontati dagli euroscettici si rivelano del tutto illusori. Queste difficoltà convinceranno i più intransigenti ad allentare la presa su una hard Brexit”. È l’analisi di Guido Barthels, portfolio manager di Ethenea.

 

“Prima o poi le difficoltà della situazione convinceranno anche gli euroscettici più intransigenti, portando almeno all'approvazione di una normativa ai sensi di una Brexit relativamente soft: un'unione doganale il più possibile ampia e regole generose di libera circolazione per i cittadini Ue”, continua Barthels. “In tal caso, bisognerà chiedersi perché allora proseguire sulla strada dell'uscita dalla Ue”.

 


 

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